Giovanissimi ma già saggi
Che lezione per gli adulti

Noi adulti siamo una manica di imbecilli. Non è un’opinione: è un dato di fatto. Analizziamo la fredda cronaca. Nei giorni scorsi il Corriere della Sera ha pubblicato due interessanti ricerche inglesi, la prima del quotidiano The Guardian sul rapporto tra teenager e social media, le seconda dell’istituto di ricerca Ipsos sulla percezione della realtà in tredici nazioni del mondo.

I risultati sono clamorosi. Il primo dato eclatante è la fuga in massa dei giovani - il 10% in meno in soli due anni - soprattutto da Facebook, ma anche da Twitter, Snapchat eccetera a causa dei troppi insulti, delle relazioni false, dell’eccesso di aggressività che vengono veicolati da quei modelli di comunicazione, mentre continua invece ad aumentare (+5%) la percentuale degli adulti entusiasti. La seconda notizia dirimente è che in tutto il mondo sviluppato il paese dove è più netto e in alcuni casi abissale il divario tra la realtà com’è per davvero e la realtà percepita è l’Italia.

Cibo, salute, disoccupati, criminalità, immigrazione: non c’è tema nel quale quello che pensiamo come dato acquisito sia lontano anni luce da quello che è in effetti, nella vita reale. Ad esempio, tutti pensiamo che in Italia ci siano venti musulmani ogni cento abitanti e invece sono tre, che ci siano cinquanta carcerati stranieri ogni cento e invece sono trentaquattro e così via. E allora, visto che i social i piccoli li usano sempre meno e invece i grandi sempre di più e visto che i giornali li leggono solo gli over cinquanta, così come la televisione, altro strumento schifato dai ragazzi, la morale di tutta questa faccenda è scientifica e spietata. Il problema siamo noi.

Il tanfo di questa stagione storica demenziale non è affatto colpa degli adolescenti, come invece noi, da perfetti bolliti in stato di avanzata lessatura, amiamo ripetere al bar, in ufficio o davanti ai lavori pubblici in piazza, perché, insomma, dove siamo andati a finire e non c’è più rispetto e ai miei tempi sì che si rigava dritti e ci si levava al canto del gallo, altro che i telefonini, e la famiglia era una cosa seria e qui una volta era tutta campagna e via trombonando. Lasciamo perdere gli ottantenni, che hanno comunque visto la guerra, con tutti i suoi orrori e i suoi patimenti, e l’alba ottimistica della ricostruzione.

No, il vero ventre molle della società infida, melliflua, fanghigliosa, ottusa e superficiale nella quale navighiamo a vista è il frutto avvelenato di noi Baby boomers (quelli nati tra il 1946 e il 1964), cioè dei cinquantenni, sessantenni e settantenni. Siamo noi, noi maturi, noi autorevoli, noi padri e madri di famiglia, noi classe dirigente, che non capiamo una mazza. Siamo noi che ci abbeveriamo alla comunicazione digitale non per conoscere, approfondire e, soprattutto, mettere in discussione le nostre certezze, ma solo e soltanto per cercare dati, numeri, opinioni che confermino quello in cui già crediamo.

E lo stesso facciamo con tv e giornali, e questo la dice lunga su quanto il settore sia clamorosamente inadeguato a formare un’opinione pubblica seria. E tutto questo si sintetizza nella distorsione percettiva del reale, nell’immaginare cose che non esistono, nel creare uomini neri inesistenti, complotti planetari immaginari, minacce iperuranie, capri espiatori ai quali accollare tutte le responsabilità di ogni cosa, in barba alle più elementari regole del buonsenso e dello stato di diritto.

C’è un problema di livello d’istruzione generale troppo basso, solo il quindici per cento di laureati (e i cretini con laurea non mancano), c’è un sistema informativo inquinato da mille interessi difformi, una politica che, come al solito, galoppa dove c’è da imbesuire gli elettori e che ormai ragiona solo per titoli, battute, tweet e post che declamano slogan senza alcun contenuto e della quale Renzi, Di Maio e Salvini sono i tre campioni insuperabili, c’è l’esplodere, infine, di quell’atavica assenza di senso civico degli italiani che ci rende le prede più indifese e prelibate degli imbonitori della piazza digitale. E quindi allarga il cuore leggere di questi pargoli della Generazione Z (quelli nati dopo il Duemila) che dicono di voler usare meglio il loro tempo, di sentirsi ridicoli a passare le giornate a controllare i like ai loro post, di aver paura del bullismo in rete e di non aver più voglia di dover sempre dimostrare di essere dei tipi speciali e, soprattutto, di essere costretti a essere felici: “Sei bombardato da immagini di gente che festeggia. Se è una rappresentazione vera ti deprimi. Se è finta che senso ha partecipare al teatrino?”.

Che saggezza, che ossigeno purissimo sentire dei ragazzetti ragionare in maniera così matura, che stile di vita esemplare. Poi, giri l’angolo, entri nel corbello degli over quarantacinque e sprofondi nella cloaca: troll, molesti, stalker e insulti e selfie e ululati e sghignazzi e rutti e flatulenze e osterie e camalli e faccione deformi e culi e panze e trippe e tatuaggi e piercing e manze e smutandati e mio cugino mi ha detto e il ponte lo hanno fatto esplodere gli islamici e i negri ce l’hanno nel sangue e in Italia venti milioni di disoccupati e il morbillo si trasmette con il pensiero e gli ebrei con il naso adunco e le svedesi che ci stanno con tutti e gli arbitri li paga ancora Moggi e i coccodrilli nelle fogne e il Papa è ateo e tutti in galera e soprattutto - immortale metafora nazionale – qui è tutto un magna magna.

C’è poco da ridere. Quella roba lì siamo noi. Quelli che dovrebbero decidere, quelli che dovrebbero dirigere, quelli che dovrebbero insegnare ed educare, sorvegliare e punire. Una generazione perduta, una generazione da operetta, una generazione di ex sessantottini poi socialisti, di ex federalisti poi sovranisti, di ex idealisti poi paraculisti. Che tristezza. Fortuna che il tempo passa, che il nostro momento sta per finire e che già incombe una torma di ragazzini che, con la scopa della storia, ci ramazzerà finalmente fuori dai piedi.

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