Governo e Pd
secondo Matteo

Il Pd alle prese con il secondo Matteo. Nelle pieghe della crisi più pazza del mondo risalta, nel bene e nel male, il ruolo di Matteo Renzi. Sì, proprio quello che da premier, segretario del partito al 40%, rottamatore e riformatore indefesso, si era ritrovato a vestire l’umile saio del senatore di Rignano. Beffa delle beffe, alcuni anni fa lo stesso destino incrociò la strada di Massimo D’Alema, il politico più simile e perciò più esecrato dall’ex sindaco di Firenze, che si ritrovò degradato a deputato di Gallipoli. Poi, grazie alla sua tenacia e competenza, risalì la china fino al momento in cui proprio Renzi, prima lo rottamò e poi, al tempo in cui aveva un potere totale, gli preferì l’innocua Federica Mogherini per il ruolo di commissario europeo agli Esteri. D’Alema masticò tutto l’amaro contenuto in una cassa di cicuta e poi si ritirò in buon ordine per darsi alla produzione di uno spumante rosè che, a suo dire, è entrato nella leggenda. Mille nemici aveva il leader Massimo, uno più divisivo di una frazione in matematica, proprio come Renzi, il suo naturale erede per cinismo politico, dimensioni dell’ego, strategia e simpatia diffusa ma al contrario.

E Matteo, come Massimo, è destinato alla maledizione della dietrologia. Qualunque cosa faccia o dica è filtrata, vivisezionata, interpretata. Anche quando non sarebbe necessario. Prendete l’intervista che l’ex premier ha rilasciato l’altro giorno al Sole 24Ore. L’obiettivo, evidente, era quello di tentare di rassicurare gli imprenditori, specie quelli del Nord, piuttosto guardinghi di fronte all’idea di ritrovarsi tra i piedi ministri dei Cinque Stelle malati di luddismo, che il nuovo governo non li avrebbe penalizzati sul fronte della politica economica. Per risultare più convincente e anche per il suo carattere, Renzi ci ha poi messo su un carico: io e i miei parlamentari non voteremo provvedimenti che penalizzino le imprese. Apriti cielo: è subito partita, dentro e fuori il Pd, la gara a indovinare il sottotesto dell’ex segretario. “Già minaccia il governo”, ha detto uno. “Vuole indebolire Zingaretti”, ha rintuzzato un altro “Chissà quale disegno persegue”, ha chiosato un terzo. E così via. Invece, forse per una volta, il senatore di Rignano ha solo detto qualcosa di buon senso. Parole che avrebbe dovuto pronunciare il segretario del Pd per evitare di rimanere in un’ambiguità che rischia di minare il governo ancora prima che nasca. Certo, Renzi ha un progetto politico suo e ha voluto contribuire alla nascita della maggioranza Cinque Stelle-Pd anche per poterlo realizzare nei tempi giusti. Ma, dal punto di vista del Pd e di coloro che non amavano il governo gialloverde gli va dato atto di aver realizzato una mossa politica tattica geniale. Quella di sfruttare la sortita di Salvini con la sfiducia a Conte per mettere all’angolo il leader della Lega e riportare il Pd, sconfitto alle elezioni del 2018, nell’area di governo dopo appena 14 mesi. Questo è un fatto. Il resto sono solo chiacchiere e distintivo.

Premesso che il precedente di D’Alema, precursore e nemico di Matteo, non è benaugurante, il Nazareno, dopo il varo dell’esecutivo, dovrebbe tentare di risolvere una volta per tutte il caso Renzi. Magari sarà lui a togliere il disturbo e le castagne dal fuoco. Ma un chiarimento farebbe solo bene al Pd e alla sinistra. L’ex premier è antipatico, ha un carattere insopportabile, quando vuole sa essere inaffidabile e spregiudicato. Ma è di gran lunga, e la vicenda del Conte due lo ha dimostrato, uno dei più abili politici sulla piazza. Il suo (per ora) partito dovrebbe fare lo sforzo, certo titanico, per sfruttare a proprio vantaggio le qualità di Renzi. Non a vederle sempre come una minaccia per la leadership e per gli equilibri dem. Perché se Matteo è ancora lì dopo le numerose sconfitte e gli ancor più numerosi tentativi di farlo fuori, e, senza ricoprire ruoli rilevanti riesce ancora a determinare la politica del Pd, come si vede con la nascita del governo, un motivo ci sarà pure.

@angelini_f

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