I governi cambiano
e la Rai si adegua

E così, alla fine, si è capito perché ai tempi d’oro dell’opposizione i 5 Stelle odiavano tanto il potere. Perché non ce l’avevano loro.

Una delle vicende più spassose e più grottesche degli ultimi giorni, che la dice lunga su quanto il governo del cambiamento sia esattamente la stessa identica cosa di tutti quelli che lo hanno preceduto e di tutti quelli che lo seguiranno, riguarda, ma vedi un po’, la Rai. In particolare, la decisione di assegnare a Maria Giovanna Maglie la striscia post Tg1 delle 20, nello spazio che fu del celeberrimo “Il Fatto” di Enzo Biagi. Come noto a quelli del rutilante mondo del giornalismo all’italiana, la Maglie è personaggio molto discusso per le sue tesi sovraniste e antisinistra, già volto noto ed eccessivo del Tg2 dell’era socialista, con tanto di indagine sulle sue “note spese pazze” poi finita con un’archiviazione. E proprio da qui è partita la campagna dei parlamentari 5 Stelle in Commissione Vigilanza che, dopo aver sentito la solita aria di fregatura dall’infido alleato, hanno fatto scattare il diktat: “Maria Giovanna Maglie non può condurre la striscia informativa dopo il Tg1 perché era una raccomandata di Craxi”. E un nanosecondo dopo questa intemerata, il segretario dell’UsigRai, il potentissimo sindacato interno, ha sibilato in un tweet al veleno che, oltretutto, non risulta nemmeno iscritta all’Ordine dei giornalisti da tre anni e quindi è accusabile di esercizio abusivo della professione.

Ora, a parte il fatto che non pagare la quota a quel consesso di sepolcri imbiancati, che nel mondo civilizzato esiste pressoché solo in Italia, fa già sgorgare uno spontaneo moto di simpatia nei confronti della collega, questa è una delle faccende più ridicole, ma soprattutto indecenti, che si siano mai sentite. Partiamo dall’UsigRai. L’accusa di essere stata craxiana arriva da un mondo giornalistico che per sua natura, per sua cultura, per suo codice genetico, per suo profilo lombrosiano, è stato tutto. In Rai tutti sono stati democristiani - e ben divisi per correnti: un po’ ad Andreotti, un po’ a Forlani, un po’ a Gava, un po’ a De Mita… - tutti sono stati craxiani - e lì era più semplice, perché tanto comandava lui: gli altri non contavano una mazza -, tutti sono stati comunisti agli ordini di Suor Pasqualina aruspice di Berlinguer e poi tutti sono stati liberisti berlusconiani e anche tutti federalisti bossiani e ovviamente tutti tecnici tecnicamente tecnocratici, che ai tempi di Monti non se ne vedeva uno per i corridoi di via Teulada che non sfoggiasse un loden verde, e poi tutti renziani e ora tutti salviniani e, per finire in gloria, tutti penstastellati. E ce ne fosse stato mai uno, dicesi uno, che si fosse dimesso al cambio di linea editoriale. Macché, tutti folgorati sulla via di Damasco o, alla peggio, promossi e rimossi a mangiare a sbafo alle spalle del contribuente in qualche ufficio vista Cupolone.

E d’altra parte, basta seguire i tiggì con un occhio un po’ smaliziato per vedere che passa il tempo, ma le dinamiche sono sempre le stesse: all’inizio i movimenti allo stato nascente, che i giornalisti veri dovrebbero cogliere nella società, se passassero il tempo a fare il loro mestiere invece che a leccare le scarpe al potente di turno, vengono sistematicamente ignorati. Poi, quando iniziano a raccogliere qualche consenso, li si insulta, sbattendoli sulla pira in quanto buzzurri, puzzoni e subumani. Infine, quando la gente se ne frega del ruolo pedagogico dei media e vota un po’ come le pare, si inizia a strusciarsi, a stuoinizzarsi, a vespizzarsi, fino a trasformare i telegiornali in house organ, in marchettifici al servizio dei nuovi padroni del vapore. Date un po’ una scorsa ai tg Rai e guardate quanto tempo viene dedicato a Salvini &Di Maio e quanto alle opposizioni e avrete capito tutto. Fine della rivoluzione: ha vinto il solito Termidoro alla scottadito.

Ma sullo spessore etico, sulla schiena dritta e sul profilo culturale di quella casta non è il caso di infierire. La cosa davvero pagliaccesca è come quelli della Rai regime, della Rai padronale, della Rai da rivoltare come un calzino diano dei raccomandati agli altri mentre, nottetempo, infilano a dozzine i loro di raccomandati e come valutino i giornalisti non per le loro qualità professionali, ma per l’aderenza alle tesi del movimento. Confermando che la stagione del cambiamento consiste solo nel cambiare i leccapiedi altrui con i leccapiedi propri, quelli funzionali a fare da grancassa della prossima scadenza elettorale, con tanti saluti alla libertà di stampa e all’uno vale uno di mia sorella.

Ora, a parte il fatto che la Maglie è un’ottima giornalista, una delle prime a capire l’emergere del fenomeno Trump, ed è dotata di una dialettica molto efficace, la verità è che in un paese serio (ah ah!) la televisione di Stato dovrebbe essere indipendente dai politici e scegliere i propri direttori e commentatori in assoluta autonomia, sulla base del profilo professionale e dello spessore intellettuale, non per indottrinare il popolo bue con le sue nuovissime, e al contempo vecchissime, veline di regime. Ed invece è proprio quello che sta accadendo anche a questo giro, con una battaglia tutta strumentale a favore o contro la Maglie nella quale a nessuno importa della Maglie in quanto tale, ma solo della Maglie in quanto simbolo politico dello scontro di potere tra Lega e 5 Stelle.

Dimostrando oltretutto un’ottusità clamorosa perché, come ha fatto ben notare un ventriloquo del potere mediatico del livello di Roberto D’Agostino, questi qui si stanno ancora scannando per uno strapuntino in tivù, quando ormai la tivù non conta più niente: “Nel 2013 Berlusconi aveva Mediaset e controllava la Rai eppure le elezioni le ha vinte un comico che aveva a disposizione un blog e un mouse”. E questo la dice lunga su quanto fosse visionario e poetico, per quanto molto criticabile, uno come Grillo e su quanto siano scarsi e del tutto prevedibili i suoi arruffati epigoni.

@DiegoMinonzio

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