Il turismo sul Lario
viaggia con ritardo

Lo raccontava qualche tempo fa George Clooney a Fabio Fazio. Quest’ultimo, per la verità non sembrava apprezzare come dovuto la portata della rivelazione. A noi gente d’acqua dolce, invece, le orecchie si erano subito drizzate.

«Capita ormai da un paio d’estati» spiegava Clooney con simpatica bonomia davanti alle telecamere di “Che tempo che fa”, «Mi trovo nella mia casa sul lago di Como quando squilla il telefono. È Bill (Murray, attore di grande presenza umoristica, protagonista di film come “Lost in translation”, “I Tenenbaum”, “Ghostbusters”, ndr) che mi dice: “Sono arrivato adesso alla Malpensa. Manda qualcuno a prendermi”». Da buon ospite, nonostante l’arrivo dell’amico attore sia imprevisto, Clooney immediatamente provvede. Murray viene trasportato dall’aeroporto per tutti i 65 chilometri circa necessari per arrivare a Laglio. Immaginiamo l’abbraccio tra i due e le battute sui più recenti, reciproci insuccessi.

Un aneddoto poco più che divertente, forse perfino noioso, ma per gli abitatori del Lario sottolinea un fatto che, benché sia sotto gli occhi di tutti, a volte fatica a venir riconosciuto: agli stranieri piace il lago di Como, fanno follie per visitarlo e, in generale, lo considerano uno dei posti più belli del mondo. “Romantico”, “pittoresco”, “incantevole”: una rapida ricerca sulla Rete consente di associare tutti questi aggettivi al Lario e in fatto di aggettivi gli stranieri, specie gli americani, si comportano come con i condimenti dei loro hamburger: non ce n’è mai abbastanza.

Di recente la compagnia aerea EasyJet ha confezionato un pacchetto-viaggio pensato su misura per chi vuole visitare Como e il lago senza spendere follie e, in questo weekend, una folla di eleganti proprietari di auto d’epoca invaderà Villa d’Este e Villa Erba per un concorso di eleganza che certo trae il suo glamour dalle magnifiche vetture in esposizione ma anche dai riflessi magici che il lago farà riverberare sulle loro carrozzerie.

Insomma, per dirla in poche parole, all’estero hanno le idee piuttosto chiare circa il Lario: vogliono visitarlo, vogliono fotografarlo e, potessero, se ne porterebbero a casa un mezzo litro nella speranze che l’acqua abbia poteri taumaturgici. Al contrario, noi indigeni, pur formalmente innamorati del paesaggio e ufficialmente a esso legati come per indissolubile fidanzamento, fatichiamo ad assecondare l’interesse dei visitatori. Le indicazioni turistiche sono approssimative, i menu, quando in lingua inglese, provocherebbero in Shakespeare vomito e convulsioni e agli imprenditori interessati a investire nel turismo - vedi il caso del Britannia di Bellagio - vengono opposte ogni sorta di obiezioni e difficoltà.

Nell’esprimere i suoi gusti e le sue tendenze il mondo - oggi connesso in ogni suo angolo - è molto veloce: certamente molto più veloce della nostra capacità di reazione. La quale, secca dirlo, è sempre più appannata da sospetti, prudenze, pastoie amministrative, esitazioni e, bisogna confessarlo, lampanti incompetenze.

Peccato, perché tanto interesse meriterebbe miglior risposta. Peccato anche perché basta guardarsi un poco intorno per osservare come altri, in possesso di patrimoni artistici e naturali ben più modesti, sappiano fare molto di più e vadano costruendosi con costanza un nome e una reputazione. Peccato infine perché non possiamo ignorare come il mondo, svelto nello scegliere le sue preferenze, sappia anche cambiare idea con la velocità di un capriccio.

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