In piazza palme
al posto di idee

Come al solito, non perdiamo occasione per provocare la gente a distinguersi e scambiarsi epiteti poco gentili. L’Italia era, è e resterà sempre il Paese dei Guelfi e Ghibellini, dei rossi e dei neri, del Milan e della Juventus, dei conservatori e dei progressisti, degli amanti del risotto contro quelli che preferiscono la pastasciutta. O di coloro che vogliono ad ogni costo dire “qualcosa di sinistra”, come disse una volta un noto regista che passa per intellettuale: e aveva ragione, perché distinguere oggi gli schieramenti di destra e di sinistra è talmente arduo che gli stessi storici contendenti l’un l’altro armati si scambiano spesso senza volerlo gli stessi principi e professano diritti e doveri difficilmente distinguibili. Al punto di sospettare che la loro formazione sia quella di gemelli separati alla nascita.

Ma non sconfiniamo nella politica, dove il litigio è un’abitudine quotidiana, tanto da venire a noia persino ai mestatori della comunicazione, che sulle beghe o sulle indiscrezioni ci campano. Per risvegliare l’attenzione meglio rivolgersi altrove. Perché ad esempio non dare rilievo ai mugugni stradaioli, alle lagne delle comari, ai pareri (si fa per dire) dei perdigiorno? In fondo, è sempre vox populi, in democrazia tutti hanno diritto di dire la propria, scatenando l’ironia di un detto popolare secondo il quale tutti possono sproloquiare, anche su argomenti che non conoscono affatto, piccoli o grandi non importa. Perché non sollecitarli su un fatterello di pubblico interesse, anche perché non può essere nascosto, come il nuovo addobbo della piazza del Duomo a Milano, che oggi pare proprio un angolo africano dove crescono palmette (non proprio palmizi, visto che manca terreno per farli radicare) banani, piante di ibisco e qualche ortensia, tanto per dare un tocco di romanticismo, grazie all’inventiva di un giovane paesaggista, certo amante dell’esotico.

Beh, dice un funzionario addetto al decoro ambientale, questa immagine di “giardino primonovecentesco” è un piacevole richiamo all’antico, può diventare un motivo di moda. Certo, si potrebbe rendere ancora più convincente se aggiungessimo all’insieme qualche zebra o pappagallo, proviamo a suggerirlo al sindaco, ancora fresco dell’esperienza dell’Expo. Ma no, protestano indignati gli oppositori, che cosa c’entra l’evocazione della giungla sul sagrato della cattedrale, in pieno centro milanese: e sorge il sospetto che sia proprio il richiamo ai luoghi di Tarzan che scatena la disputa, mentre se in questo angolo della piazza normalmente occupato da ogni sorta di mercanzia multicolore fosse stata collocata una bella aiuola fiorita o qualche cespuglio verde nessuno avrebbe avuto niente da ridire.

Naturale, quando scarseggiano le idee per arredare una piazza non si trova niente di meglio che ricorrere a qualche alberello, magari sparuto, collocato qua e là come i cuscini dei vecchi salotti di Nonna Speranza buonanima. Lo sappiamo anche noi che a Como abbiamo visto metter mano alle piazze e piazzole per ingentilirle, almeno secondo le intenzioni degli arredatori, con il rischio di suscitare un vespaio allorché un amato berceau di glicine è stato sostituito da un giardino di ciliegi alla Cecov, salvo poi a recuperare un residuo di rampicante dai grappoli fioriti color lavanda giusto per accontentare chiunque, senza badare alla confusione ambientale. Confusione, sicuro, perché una piazza, luogo di riunione, di sosta ma anche di transito, non dovrebbe essere un incrocio fra una serra e un cortile, una strada e un centro di ristoro, ma uno spazio che comporta una scelta di genere, una direttiva d’uso.

La piazza milanese è certo di carattere monumentale ma almeno ha il vantaggio di essere stata divisa dalla statua equestre di Vittorio Emanuele secondo: da una parte si stende il sagrato del Duomo, specularmente dimensionato come l’alta fronte gotica dell’edificio sacro, dall’altra si trova un’area di libera fruizione che può anche essere occupata da un minigiardino, magari in questo caso non proprio di gusto squisito ma sempre migliore dei banchetti dei rivenduglioli che, quelli sì, offendono la bellezza di piazza San Marco a Venezia o di piazza delle Erbe a Verona. Con una differenza: la seconda, anche se le bancarelle sono davvero troppe, ha almeno la scusante di essere stata da molto tempo sede di mercato all’aperto. L’errore consiste forse nel non distinguere le piazze per la loro destinazione: ci sono piazze costituite dalla “somma” di elementi diversi stratificati nel corso degli anni, e piazze che devono essere considerate veri e propri “sistemi” dove qualunque spostamento o intrusione ne pregiudica l’equilibrio architettonico/funzionale. Anche dalle nostre parti non mancano esempi dell’uno e dell’altro tipo. Se può essere consolatorio, la piazza milanese oggetto della singolar tenzone fra difensori e critici non è tale da prestarsi a scandali ambientali tali da lacerarsi le vesti addosso. In Italia capita ben di peggio. Ma ben venga l’occasione con l’avvento del tocco di esotismo dietro le spalle del re a cavallo di guardare meglio il luogo caro non soltanto ai buoni milanesi. E se c’è da litigare, meglio le palme e i banani che le diatribe dei politicanti…

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