La polizia e la forza
di avere anticorpi

stabilire oggi, con i danni del terremoto giudiziario che ha sconvolto la polstrada comasca ancora da quantificare, il grado di colpevolezza o di innocenza dei poliziotti indagati suonerebbe fuori luogo, fuori tempo e senza senso. Ma a caldo, mentre da un lato registriamo le accuse di un’inchiesta non facile e dall’altro lo sconcerto dei colleghi degli agenti arrestati ma anche quello di un’intera provincia, una riflessione sembra doverosa. E riguarda la capacità di un’istituzione qual è la Polizia di Stato di trovare al proprio interno gli anticorpi di fronte al semplice sospetto di una patologia. Anche rispettando quella presunzione di innocenza che soltanto il tempo e le severe procedure del codice di procedura penale sapranno sciogliere, in un senso o nell’altro, l’operazione che ieri mattina ha portato all’arresto di cinque uomini di Stato e alla richiesta di sospensione dal servizio per altri quattro agenti è comunque la dimostrazione della serietà della Polizia come istituzione.

A condurre l’inchiesta, a trovare gli indizi d’accusa a carico di colleghi e amici, persone con le quali hanno condiviso anni di professione e di servizio, sono stati proprio gli uomini e le donne della stessa polizia stradale. Un gruppo, quello della sezione di polizia giudiziaria della polstrada di Como, che si è messo - come prevede il codice - a disposizione della magistratura senza tirarsi indietro neppure quando è stato chiesto loro di indagare anche sui superiori.

Lo stesso giudice che ha considerato valido il quadro accusatorio nei confronti degli indagati, tanto da firmare le ordinanze di custodia cautelare, ha voluto sottolineare fin dalla premessa del provvedimento «l’encomiabile volontà di chiarezza» dimostrata dagli appartenenti alla sezione di polizia giudiziaria della stradale. Lungi da qualsiasi volontà di anticipare il prosieguo dell’iter giudiziario, è doveroso però notare come solo un organismo sostanzialmente sano sa produrre gli anticorpi che lo possono aiutare a curarsi. Anticorpi, peraltro, che già in passato hanno dimostrato il loro grado di professionalità quando scoprirono, da un controllo casuale di un camion della Perego Strade, il traffico di veleni da e per i cantieri comaschi, ivi incluso quello del nuovo ospedale Sant’Anna. Ma se allora la complessità dell’inchiesta venne ripagata dalla soddisfazione per i risultati ottenuti, ieri di quella soddisfazione non vi era traccia nei loro occhi. Perché a nessuno fa piacere puntare il dito contro un membro della propria famiglia, figuriamoci accompagnarlo in carcere.

Anche per questo l’inchiesta, che ieri non ha certo vissuto la sua fase finale ma, forse, ha solo mosso i primi passi, dev’essere presa con grande serietà. Senza lasciarsi trascinare da una difesa d’ufficio a prescindere e da una banalizzazione delle accuse che, se dimostrate, sarebbero gravissime soprattutto perché commesse da persone che indossano una divisa e che hanno prestato un giuramento di fedeltà a quel valore che tiene in piedi una democrazia: la legalità.

Dall’altro, però, la stessa serietà impone di non scivolare in quel vizio tipico di questi casi, che è la superficiale condanna senza appello con il retrogusto della vendetta. Molti commenti alla notizia che si leggevano ieri sul web sembravano dettati più da una voglia di rivalsa nei confronti del ruolo piuttosto che dal reale desiderio di comprendere, approfondire e soprattutto riflettere sul fatto che sarebbe utile che quel senso di legalità di cui sopra finisca per coinvolgere non solo gli uomini in divisa, ma tutti noi.

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