La Sisme, un dramma
che aspetta risposte

La crisi alla Sisme di Olgiate Comasco non è soltanto e prima di tutto una storia di numeri e di conti che non tornano. E’ la conferma che nel nostro Paese è scoppiata in maniera deflagrante un’emergenza sociale di cui pochi sembrano rendersi conto.

Non vogliamo in questa sede discutere e approfondire le ragioni che hanno portato ai 223 licenziamenti. Vorremmo provare tutti insieme a guardare in faccia, una per una, chi sono le vittime di questa drammatica vicenda. In questi giorni stiamo provando a raccontare delle storie; i
destinatari di quelle gelide lettere di
licenziamento hanno tutti nomi e cognomi, sono famiglie, mariti e mogli e poi figli.

Non vogliamo sindacare sui criteri di scelta dell’azienda, non è questione che ci compete. Compete al sindacati e semmai sarà materia per un giudice. A noi tocca restare allibiti di fronte a storie che sono pezzi di un’emergenza sociale che non è accettabile. Stiamo parlando di un marito e di una moglie entrambi licenziati, con due gemelline di otto anni. Di una ragazza separata con una figlia. Di un’altra moglie e di un altro marito senza lavoro, genitori di una ragazza di 19 anni disoccupata e di una ragazzina di 11 anni. Di una vedova con un figlio. Per noi è insopportabile solo pensarci.

E’ insopportabile pensare a quello che sarà il loro destino. E’ insopportabile pensare che in fondo del loro destino, poco importi.

Forse una volta la perdita del lavoro non era la fine di tutto. C’erano reti sociali in grado di sostenere le famiglie, c’era la possibilità di una ricollocazione, soprattutto in territori ricchi come il nostro. Ma oggi non è più così. Le reti sociali sono sempre più deboli, quando non esistono più, e trovare un’alternativa lavorativa è praticamente impossibile.

Perdere il lavoro vuol dire sprofondare in un futuro che non ha certezze. Vuol dire improvvisamente dover mettere tutto in discussione. Doversi interrogare sull’impossibilità di comprare libri e quaderni ai figli che vanno a scuola. Mettere via a vent’anni anni il sogno di fare l’università perché i tuoi genitori hanno perso il lavoro, trovarsi all’improvviso nell’impossibilità di pagare il mutuo.

Se vi sembra poco, non è così. Questo è il vero dramma che si sta consumando in un Paese che sembra improvvisamente aver perso la strada del proprio futuro. Ed è per questo che suonano insopportabili le litanie dei politici che ogni giorno negano la realtà, illudendoci che vada tutto bene, che si stia imboccando la china della ripresa, che l’Europa è contenta perché i conti stanno tornado a posto. Andate a raccontarlo a quelle famiglie di Olgiate.

Non è negando la realtà che la si rende più sopportabile. Vorremmo ascoltare meno litanie e più indignazione. Vorremmo che la voce della politica si alzasse forte, che ci fosse l’impegno a non lasciare solo chi si trova nel baratro dopo aver perso il lavoro. Che ci si metta, senza perdere tempo, a rivedere le politiche di sostegno nei confronti di chi perde il lavoro.

Per quanto ci riguarda continueremo a raccontare storie, perché non cali il silenzio. Come quella di una bimba di otto anni che guardando i due genitori senza lavoro ha fatto una domanda semplice: «Ma perché non hanno licenziato uno solo?». Qualcuno, per favore, provi a risponderle.

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