Lo tsunami in Svizzera
e il rischio macerie

In una parola ecco il riassunto dello choc: «Tsunami. Non ho parole, la decisione della Banca centrale svizzera è uno tsunami per l’industria dell’export e per il turismo e per l’intero Paese». Parole dell’amministratore delegato di Swatch, Nick Hayek. Gli ha fatto eco il Global Chief Investment di Ubs (Unione di Banche Svizzere) Mark Hasefele secondo cui la decisione della Swiss Bank di togliere il tetto al cambio franco/euro avrà «Un grande impatto negativo sull’economia del Paese», addirittura potrebbe costare fino a un punto di Pil.

Ormai ci eravamo abituati a quel cambio quasi fisso, impostato nel settembre 2011, di 1,20-1,21 tanto da ritenerlo adeguato per le nostre esportazioni e infine non troppo penalizzante anche per le imprese elvetiche. Invece da ieri a mezzogiorno tutto è cambiato, in Europa e in Svizzera soprattutto, ma anche, e molto, qui a ridosso della frontiera, quella che ogni giorno più di 60 mila frontalieri italiani oltrepassano per andare a lavorare nella Confederazione, più o meno graditi.

Per questi ultimi il rimbalzo della valuta svizzera del 13% circa avrà una ricaduta nel brevissimo periodo senza dubbio interessante, con gli stipendi già ben al di sopra degli standard italiani che godranno di un consistente quanto inatteso incremento. Questa è una delle conseguenze immediate, le altre sono quelle connesse alle rivalutazioni: svizzeri avvantaggiati negli acquisti in Italia, italiani – al contrario – meno attratti da benzina e outlet, aziende tricolori aiutate nelle loro esportazioni verso Berna, quelle svizzere che non possono più contare sull’effetto benefico innescato tre anni e mezzo fa. Ed è questa una delle motivazioni indotte dalla Banca centrale elvetica per cercare di chiarire il motivo di un atto così deflagrante, non solo per l’Italia ma per i listini delle Borse del Vecchio Continente. In sostanza, hanno detto i banchieri centrali, il tasso di cambio era stato introdotto in un momento di sopravvalutazione eccezionale, quando l’Europa della moneta unica ballava esposta agli spettri di default di interi Paesi e quindi era necessario porre un argine alla corsa al franco come bene di rifugio. Oggi però spira un vento diverso, spiega la Banca elvetica, l’euro debole contro il dollaro ha messo in difficoltà la stessa divisa svizzera nel cambio con la moneta Usa e quindi non restava altro da fare,

Tutto vero, ma la nota di Berna non spiega tutto. La decisione infatti non è un caso che arrivi a una settimana da quasi sicuro annuncio dell’avvio del quantitative easing da parte della Bce, mossa che non avrebbero più offerto spazi alla svalutazione del franco avviata nel 2011 e apprezzata dalle aziende della Confederazione (che anzi avrebbero voluto un tetto più alto, attorno all’1,40-1,50). Se non altro perché con il programma di acquisti dei titoli da parte della Bce l’euro si abbasserà ancora di più e quindi la “competizione” non avrebbe avuto più senso. Anzi.

Così proprio per evitare il peggio Berna ha deciso di passare all’attacco frenando sull’acquisto di euro e tornando a rimpiazzarli nei forzieri con i franchi. Alcuni economisti ieri hanno letto la mossa come una capitolazione completa della Svizzera di fronte alla Bce che, non potendo più giocare alla svalutazione con l’euro e non potendo permettersi di avere un franco alle stelle come bene di rifugio – senza dimenticare che ieri, fra le altre misure, la Banca nazionale svizzera ha premuto sull’acceleratore per i tassi in negativo sui depositi passando da -0,25% a -0,75% -,ha deciso di lasciare campo libero non tanto agli speculatori, quanto ai mercati che (si spera oltreconfine) nel giro di qualche settimana dovrebbero trovare un equilibrio, probabilmente però attorno a un cambio alla pari franco/euro.

Mercati a parte, tuttavia saranno lavoratori e aziende locali a fare i conti con questo choc. A cui fra una settimana si aggiungerà l’altro, quello sull’euro attraverso le decisioni della Bce. Alla fine è possibile, ma tutt’altro che certo, che le due mosse si compensino. Ma come accade in questi casi lo scossone resta e si àncora nell’animo e nelle menti. Anche per questo i frontalieri, passato il primo momento di euforia, non festeggiano gli stipendi più ricchi, soprattutto perché le aziende che li impiegano parlano di “tsunami”. E questi si lasciano dietro molte, molte macerie.

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