Patate, bolliti
e teste di rapa

I tuberi sono tutti uguali. Ma alcuni sono più uguali degli altri. Si vola alto, nel dibattito politico e giornalistico italiano.

L’ultima polemica è stata innescata da un titolo trivialissimo di Vittorio Feltri che, con la consueta astuzia da formidabile uomo di marketing, ha sbattuto in prima pagina un doppio o forse triplo senso - “patata bollente”, appunto - per sintetizzare quello che da giorni i giornaloni dell’arco costituzionale sussurravano e diffondevano e umettavano nei pezzi dedicati al caso Raggi.

E cioè che il sindaco di Roma sia coinvolta in chissà quali relazioni amorose, peccaminose e pecorecce, che finiscono con l’incidere anche sulla gestione del Comune con tanto di polizze, stipendi triplicati, familismi amorali e bla bla bla. Roba forte.

Apriti cielo. Sono due giorni che il circo mediatico si dà il cambio per schiaffeggiare il direttore - il quale, ovviamente, non aspettava altro - con ogni tipo di insulto e contumelia. E sessista e machista e razzista e qualunquista e populista e vergogna e scandalo e spurgo e cloaca e suburra e attacco intollerabilmente intollerabile ai canoni del buon gusto, del rispetto, della decenza, della lingua italiana e buzzurro e caprone e lenone e cialtrone. Un massacro.

Non si è astenuto nessuno: dalla feldmarescialla Boldrini alla pronipote di Emmeline Pankhurst, dal vicepresidente del Circolo della Salsiccia a uno stranamente pavido Salvini, tutti si sono sentiti in diritto di riversare fiumi di bile sul giornalismo straccione di “Libero”.

Ora, il titolo in questione può anche fare schifo. Anzi, fa schifo di certo, anche se fa pure ridere. E ognuno può valutarlo come meglio crede e, come meglio crede, può decidere di spendere un euro e mezzo per comprare il più spassoso e irridente giornale d’Italia oppure lasciare in edicola il più lurido e vomitevole giornale del mondo. Scuole di pensiero. Differenza di opinioni. Il bello della democrazia e del libero arbitrio. Amate Feltri o disprezzatelo, fate voi. E, tutto sommato, chissenefrega.

La cosa che invece non può passare è il doppio binario. La doppia morale. La doppia patata. Perché sono mesi e anni e decenni che leggiamo porcherie ignobili contro donne della politica - e non solo, visto che lo stesso titolo dedicato qualche anno fa a Ruby è passato sotto silenzio - che però, visto che non fanno parte del nobile consesso degli ottimati, degli antropologicamente superiori, dei conformi al conformante conformismo mondiale che tutto ordina, tutto codifica e tutto normalizza, possono essere prese a pesci in faccia nel silenzio e, anzi, nella goduria generale.

Quante risate ci siamo fatti, quante sghignazzate e colpi di gomito sulle gesta sessuali, i retroscena inenarrabili, le acrobazie pelviche delle deputate, le manette delle sottosegretarie e i frustini delle ministre berlusconiane? Vogliamo parlare dei titoli, dei sottotesti, degli ammiccamenti e delle mezze parole e delle intere diffamazioni riservate alla Carfagna, alla Gelmini, alla Biancofiore e a un altro paio di dozzine di politiche fuori dal giro delle presentabili?

Vogliamo parlare del linguaggio da caserma riservato a parlamentari tratteggiate, e tutti zitti, come cubiste, ballerine da night, escort professionali, espertissime navi scuola? E dove era qui il profilo penale? Dove le prove provate di corruzione, voto di scambio e similari? In quei casi non c’era lo stesso sessismo, machismo, razzismo e compagnia che oggi tutti sbandierano a proposito della virginale Raggi? E che dire della moglie e della figlia di Trump? Le parole angelicate con le quali abbiamo inguainato la figura di Hillary Clinton confrontatele con il trattamento riservato a quella battona di lusso di Melania e quella mantide religiosa di Ivanka. Quello non è sessismo? Non è machismo?

Ma non è finita. Vogliamo parlare dei post e dei video del blog sacrale dei Cinque Stelle, con l’istigazione a fare questo e quello alla Boldrini oppure, che è anche meglio, farlo fare a un branco di rom? E quell’altro dove si spiegava quale fosse il vero lavoro della Boschi, impegnata a battere in tangenziale assieme alla Picierno, senza dimenticare l’epiteto di vecchia prostituta alla Levi Montalcini? Ne vogliamo parlare per davvero di tutto il florilegio di gran classe - altro che patata bollente - che spurga dalle viscere di un movimento che, d’altra parte, nascendo dalla dialettica hegeliana del vaffanculo è vero maestro di bon ton?

Lì invece tutto bene. Le nuove sgarzoline renziane, così come le vecchie bonone berlusconiane, possono essere sputacchiate senza colpo ferire. Non basta dire e dimostrare che, le une e le altre, sono delle nullità, che oltretutto corrisponde pure al vero?

E noi, noi pennivendoli dei media, siamo sempre i peggiori. Sempre pronti a farci irreggimentare nella cloaca del conformismo e mai capaci di un atto di coraggio. Farisei. Filistei. Sepolcri imbiancati. Sacerdoti del luogo comune. Uno scrive quello che vuole e che ritiene opportuno. Vale per i beati angelici di “Charlie Hebdo” così come i buzzurri di “Libero” e le battaglie per la libertà di espressione si fanno per i primi così come per i secondi.

Se ci sono risvolti diffamatori, li si verifichi in sede penale e civile e questo vale per la “patata bollente” così come per il “pastore tedesco” del “Manifesto” dopo l’elezione di Ratzinger, però quello faceva fine nella diatopia dei circoli del laicismo intellettualoide e non diffamava nessuno, giusto? E che poi, alla fine di questa gran fregnaccia, saltino fuori certi fanfaroni sfaccendati che si sono inventati politici perché altrimenti sarebbero morti di fame a stilare liste di proscrizione e a chiedere processi sommari a uno stuolo di tromboni che non hanno mai diretto manco il bollettino dell’oratorio, non hanno mai scritto un pezzo in vita loro e che passano le giornate alla macchinetta del caffè a impartire lezioni di giornalismo, la dice lunga sulle patate, sui bolliti e, soprattutto, sulle teste di rapa.

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