Pigni, politico della gente
Sempre con la gente

Nel 1992, l’Italia non aveva più un “partigiano come presidente”, ma Como si ritrovò un ex partigiano come primo cittadino.

A sorpresa, i partiti già agonizzanti per il vento di Mani Pulite e del cambiamento introdotto dai referendum di Mario Segni, avevano trovato questa soluzione per uscire dall’aggrovigliata crisi della giunta presieduta dall’ultimo sindaco democristiano, Felice Bernasconi. Per affrontare il nuovo che avanzava si scelse il più vecchio: Renzo Pigni, decano del consiglio comunale ma soprattutto uno con la faccia, oltre le mani, linda. L’“onorevole Pigni”, come è sempre stato chiamato (alternativa era “Renzaccio” per sottolineare la sua intransigenza sui principi) cinse la fascia tricolore con la consapevolezza di rappresentare una sorta di “foglia di fico” e della difficoltà del compito che si trovava di fronte. La sua figura aveva unito e anche diviso, soprattutto la Dc ancora partito di maggioranza relativa.

Cadde in piedi

Il collega Mario Schiani a cui toccò la prima intervista al nuovo sindaco inquadrò la situazione con la prima memorabile domanda: «Sa che film danno qui fuori? (c’era ancora il cinema Moderno in viale Lecco di fronte al comune, ndr): “Io speriamo che me la cavo”». Non se la cavò male Pigni, come sempre, nel suo agire politico, ci mise impegno e passione. Cadde, in piedi, quando si rifiutò di avallare gli interventi urbanistici della legge Adamoli che avrebbero trasformato la città. Inutile dire che il commissario straordinario che gli subentrò, Armando Levante, li firmò in pochi minuti. Si chiudeva così la Prima Repubblica comasca e il percorso istituzionale di Pigni che continuò a fare politica, a elargire consigli grazie alla sua esperienza e a svolgere vita associativa e comunitaria. Fino all’altra notte quando ci ha salutato. Sarebbe scontato immaginare cosa pensasse dell’attuale governo e del piano inclinato della sinistra di cui è stato sempre esponente convinto e coerente. Anche al punto da mettersi in contrapposizione con il partito di appartenenza (fu uno dei socialisti che fondarono il Psiup, il Partito socialista di unità proletaria).

Non voleva dividere, anzi. Era conscio che le divisioni avrebbero fatto solo male alla sinistra. Ma lui rappresentava un punto fermo, coerente con se stesso. Se gli altri si spostavano lui restava dov’era con i suoi valori. La passione per la politica era nata da una tragedia: la fucilazione di alcuni italiani che, assieme a lui, erano stati ingaggiati con la forza dai tedeschi per lavori di bassa manovalanza a Sommacampagna, in provincia di Verona. Furono catturati e messi al muro dopo un tentativo di fuga. Forse da lì discendeva la sua intransigenza e la difficoltà ad accettare compromessi al ribasso. Forte di una lunga esperienza sindacale “sul campo”, fu sempre un politico della gente e con la gente. Indugiava volentieri al bar a discutere con chiunque, anche con coloro che la pensavano diversamente da lui. E al termine di consigli comunali in cui tra Pigni all’opposizione e gli esponenti di maggioranza erano volati stormi di stracci (anche quando il sindaco era un socialista, Sergio Simone) era il primo a organizzare omeriche partite a scopa nei locali dei vigili urbani (ormai si può raccontare, c’è la prescrizione). Era una politica in cui il rispetto della persona, avversaria mai nemica, prevaleva su tutto.

Segretario del presidente

La sua più grande soddisfazione era quella di aver svolto il ruolo di segretario di Sandro Pertini, in partigiano presidente, quando quest’ultimo era alla guida della Camera dei deputati. Due caratteri in fondo simili erano destinati ad andare d’accordo. In età già matura trovò anche una dimensione spirituale che lo avvicinò all’allora vescovo Alessandro Maggiolini di cui divenne amico. E nel 1995 compì un pellegrinaggio in Terra Santa dove incontrò il patriarca della Chiesa latina di Gerusalemme. Da lì nacque l’associazione “Amici del seminario di Beit-Jala” che sorge alla periferia di Betlemme. Pigni era un uomo che credeva nella pace e fu tra i promotori di “Como città messaggera di pace”. Ora che ha raggiunto quella eterna potrà ritrovare Antonio Spallino di cui fu vice e qualcuno dei compagni di scopa. Di certo la terra gli sarà lieve, com’è per tutti i giusti.

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