Povera Como, città d’arte
e cultura a sua insaputa

Non dovrebbe essere difficile attrarre turismo culturale per l’unica città in cui è possibile vedere in faccia Cristoforo Colombo, o quanto meno quello che è ritenuto il suo primo ritratto. Senza contare che quel ritratto, ora in Pinacoteca, è parte del primo museo del mondo, quello di Paolo Giovio, che, parola di Price Zimmermann della Princeton University, attraverso la propria collezione di “uomini illustri” diede «il suo contributo più originale alla civiltà europea» e, aggiungiamo noi, offrì ai Medici l’idea di duplicarla agli Uffizi, dove la vedono 4 milioni di visitatori all’anno. Se poi quella città ha avuto la fortuna di essere fondata da Giulio Cesare, aver dato i natali ai Plini, che a propria volta hanno dato molto a Como in termini di opere in cui è citata (la “Naturalis Historia” del Vecchio, prima enciclopedia della storia, e l’espistolario del Giovane ancora tradotto nei licei) e anche di eredità materiale e ideale, ed è legata a doppio filo alla vita e alle scoperte dell’inventore della pila, ovvero di quell’oggetto che miniaturizzato e potenziato è alla base della rivoluzione tecnologica in cui siamo immersi... Insomma, ha ragione il presidente degli albergatori Angelo Cassani, che molto si è speso per promuovere Como, quando dice che «la frammentarietà della rete museale non aiuta l’organizzazione di un’offerta significativa», e ha ragione anche Giuseppe Rasella, delegato al Turismo della Camera di Commercio, quando sostiene che «fare sistema a livello territoriale [...] fa la differenza», ma allora cosa vogliamo aspettare per unire non solo le forze, ma anche il patrimonio culturale già esistente attorno al Lario?

Se il problema, emerso dall’indagine de “Il Sole 24 Ore”, è l’incapacità di trattenere i turisti per più di 2 giorni in una città che, oltre a quanto già elencato, è sede di 12 festival, compare in oltre cento film, è stata eternata da un altro centinaio tra pittori e scrittori di fama internazionale, è culla del Romanico, del Futurismo, del Razionalismo e dell’Astrattismo, si è candidata a Città Creativa Unesco per la seta, possiede una rete di oltre 600 km di cammini pedonali costellati di perle paesaggistiche e architettoniche, vuol dire che è fondamentale che si faccia sistema anche, e soprattutto, tra competenze diverse, tra gli operatori del turismo e quelli della cultura. Con le amministrazioni a fare da facilitatori e pungolatori, dando l’esempio nel valorizzare le risorse interne. E’ tempo di investire sulle idee, i progetti e le competenze capaci di far cambiare la narrazione, la percezione e la fruizione del territorio, per passare dalla «frammentarietà della rete museale» alla straordinaria unicità di una città museo a cielo aperto pullulante di energie creative che la valorizzino. In occasione della candidatura a Capitale della Cultura, nel 2015, era stata promessa la costituzione di due tavoli permanenti, e comunicanti, di operatori economici e culturali, ma sono rimasti lettera morta. E se è vero anche che «sono finiti i tempi d’oro», come ha detto l’assessore Carola Gentilini, a maggior ragione l’oro rappresentato dal turismo deve innescare processi virtuosi: assurdo avere da un lato tanti piccoli festival (pur meritevoli, nel migliore dei casi hanno bilanci 10 volte inferiori a quelli che in altre città i turisti li spostano) e musei “rattoppati” (non solo il Tempio Voltiano, ma anche i fondi di Giovio e Sant’Elia, per non dire delle monete d’oro che torneranno, attendono soluzioni all’altezza) e dall’altra 400mila euro della tassa di soggiorno bloccati. Dovrebbero essere investiti per incentivare chi si sforza di pensare non solo per i comaschi, ma anche per i turisti, aggiungendo sottotitoli ai film, invitando ospiti internazionali, giocandosi treni, battelli, funicolari, funivie per veicolare il pubblico e come luoghi di eventi essi stessi, creando esperienze uniche per chi viene a Como.

Pur con la fatica di chi è all’anno zero, ultimamente sono nati “laboratori” interessanti per provare a fare squadra (i Piani integrati della cultura, il comitato per il bimillenario pliniano, il tavolo che sostiene il comitato Como & Seta). Auguriamoci e, soprattutto, impegniamoci affinché diano frutti. Se no Como resterà una città d’arte e di cultura a sua insaputa.

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