Quando la salute
non può attendere

Enrico Marletta

Dai quattro ai cinque mesi. Tanto ci vuole oggi, tra l’ospedale di Cantù e quello di Mariano, per una visita oculistica.

Il dato è eloquente al di là di ciò che stabilisce la normativa regionale. Quest’ultima ha come riferimento il territorio provinciale (diviso in due parti) e minimizza l’importanza del dato locale. Ma, perlomeno in questa sede, non importa molto promuovere o bocciare l’operato delle nostre aziende ospedaliere. Certo, i tempi di attesa della sanità lombarda sono mediamente molto più bassi di quasi tutte le altre regioni italiane e i dati canturini non si discostano molto dalla loro storica entità. Ciò detto, è del tutto evidente che uno dei parametri attraverso cui i cittadini misurano l’efficienza del sistema sanitario è proprio la durata dei tempi di attesa. Vero, l’urgenza è almeno sulla carta tutelata ma fa male al cuore sentirsi chiedere cinque-sei mesi di pazienza per una visita di controllo ed avere come unica alternativa quella di pagare la prestazione.

Tra l’altro entro il 4 dicembre tutti i paesi aderenti all’Unione europea dovranno recepire la direttiva Ue 24/2011 che sancisce che «qualunque cittadino europeo può farsi liberamente curare all’estero se l’attesa delle cure nel suo paese è troppo lunga». Fino ad oggi venivano rimborsate, dallo Stato di origine, solamente le cure “urgenti” o quelle ad alta specializzazione. Potenzialmente si tratta di una vera “mazzata” sul nostro Ssn perché potrebbe verificarsi una migrazione oltreconfine di pazienti dall’Italia verso i centri di eccellenza europei e il nostro Ssn sarà costretto a farsi carico del prezzo dell’operazione detratto dall’eccedenza che questo avrebbe avuto in Italia.

Certo quello dei tempi di attesa non è un problema è soltanto italiano, ma che caratterizza anche altri paesi dell’Unione europea. Dove si assiste, come da noi a una certa divaricazione, tra il settore pubblico e quello privato. Ad esempio in Gran Bretagna vi è la tendenza all’aumento nelle cure cardiologiche e in quelle per i tumori, per cui un terzo dei pazienti prevede di rivolgersi alla sanità privata.

Nei Paesi scandinavi vi è una certa varietà di modelli. Ad esempio in Danimarca dal 2007 dopo un mese di attesa in un ospedale statale un paziente può rivolgersi a una struttura privata o all’estero. Invece in Svezia è stata adottata la privatizzazione della sanità, che in una fase iniziale ha dato risultato soddisfacenti sul piano della riduzione dei tempi. Nel lungo periodo però il libero mercato non sembra dare risultati positivi.

In Francia il problema non esiste, tranne per le operazioni oculistiche: il 70% degli interventi avviene in strutture private e il 90% dei cittadini ha un’assicurazione sanitaria privata.

In Germania il sistema pubblico convive con quello privato, dove i tempi di attesa sono ancora più brevi del settore pubblico. Comunque, al di là della pluralità di scelte che ogni paziente ha almeno in linea teorica tutto si riduce non certo a un problema ideologico del tipo: è meglio il pubblico o è meglio il privato?

Ciascun sistema di assistenza sanitaria contiene pregi e difetti. Quando i crea una strozzatura e i tempi si allungano significa comunque che le strutture pubbliche e private, non hanno risorse sufficienti. Oppure ci sono problemi più gravi, legati alla pesantezza dell’organizzazione burocratica, che già da sola può essere di ostacolo alla creazione di un sistema più rapido ed efficiente, oltre che di qualità migliore.

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