Ripensare il campus,
ma Como ne è capace?

Sono trascorsi 40 anni da quando abbiamo presentato la proposta di istituire un campus universitario a Como e ho perciò rilevato con piacere che l’interesse per questo tema è vivo nella città e nelle forze sindacali e produttive. Del resto, verso la fine degli anni Ottanta, l’allora Unione industriali ha fortemente sostenuto, anche in termini di impegno economico, l’avvio dell'insediamento universitario a Como.

Francesco Angelini , caporedattore di questo giornale, nel suo articolo della scorsa domenica, ha sostenuto, a mio avviso correttamente, che le recenti vicende relative al finanziamento della Fondazione Cariplo devono essere l’occasione, per una classe dirigente attenta, di capire cosa non abbia funzionato e per guardare al futuro in modo costruttivo.

In questo spirito, ritengo che si possano proporre le seguenti considerazioni:

Campus universitario. Sono sempre stato e sono fermamente convinto che all’interno della offerta universitaria della Regione Lombardia, la formazione di un campus universitario nell’aerea di San Martino, della dimensione di circa 15 mila studenti, sarebbe una scelta vincente non solo per Como, ma per lo stesso sistema universitario lombardo. Questa era l’idea alla base del progetto presentato 40 anni or sono. Ma dopo una fase di avvio entusiasmante, l’insediamento universitario ha assunto uno sviluppo diverso dalla impostazione iniziale. Sono almeno venti anni che, dalle pagine di questo giornale, sostengo, e ripeto fino alla noia, la necessità di una revisione radicale che ripensi gli obiettivi e formuli un progetto affinché, come era nella idea originale, si arrivi ad una “Universitas Studiorum” che sia uno strumento di rinascita della città, un motore di sviluppo culturale ed economico, un luogo di aggregazione e identificazione per i giovani, per la creazione di quel senso di appartenenza che è l’unico capace di fornire stimoli, motivazioni ed energie, per il rilancio di una comunità. La stessa decisione della fondazione Cariplo , attenta e a mio avviso fondata, è la naturale conseguenza della mancanza di questa visione complessiva del futuro. Spesso nel nostro Paese si è commesso l’errore di iniziare dal cemento prima di risolvere i problemi più difficili che stanno a monte.

Villa Olmo. Rappresenta uno dei gioielli della nostra città e può avere un forte potere di richiamo internazionale. È inserita in uno dei luoghi più belli d’Europa, in quello che la Camera di Commercio propone come chilometro della conoscenza. Oltre al richiamo turistico, può diventare un punto di riferimento delle università lombarde per l’attività di alta formazione e di internazionalizzazione. Como, che è una realtà piccola, deve puntare sulla eccellenza,mettendo in gioco quello che ha di positivo. In questo quadro, l’intervento su villa Olmo - che probabilmente non sarebbe stato possibile senza questo finanziamento della fondazione Cariplo - è strategico: un biglietto da visita importante per una città aperta al mondo intero e anche un anello verso una università qualificata e non provinciale.

Il sistema universitario italiano sta attraversando un periodo di contrazione dovuto anche, ma non solo, alla crisi economica. È prevedibile che questo periodo duri ancora qualche anno. Il problema del mancato finanziamento alla Università di cui si è parlato in questi giorni, deve essere trasformato in opportunità e visto come l’occasione per definire gli obiettivi da raggiungere, cercare il consenso, predisporre un progetto in modo da essere pronti non appena si uscirà da questa fase. Il punto vero è se la città sarà in grado di cogliere o meno questa opportunità.

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