Scopriamo a Natale
il familiare speciale

«Familiaritas stupenda nimis». Cosa vuol dire?

Tento una traduzione: È sorprendente che Dio ci abbia fatto dono, in modo così esagerato, della sua familiarità.

Desidero rivolgere i miei auguri per un Natale Santo e Buono a partire dalla citazione de “L’imitazione di Cristo”. Questo libretto – forse scritto da un frate agostiniano – risale al medioevo e, in quanto a diffusione nell’occidente cristiano, è secondo solo alla Bibbia.

L’espressione citata – che campeggia nel presepe allestito nella cappella dove ogni giorno sosto in preghiera – mi sembra davvero incisiva. In tre sole parole ci parla del sovrabbondante amore di Dio, e ci dice che, nell’assumere la natura umana, Egli diventa nostro “familiare”. È la ragione per cui tutti, nessuno escluso, possiamo dirci figli di Dio e fratelli in Cristo.

Al tema delle “Relazioni di familiarità” ho dedicato la Lettera per il Tempo di Avvento e di Natale. Qualcuno mi ha chiesto perché ho sentito l’esigenza di porre l’accento su quest’argomento: perché ho indicato che è necessario sviluppare, nelle nostre comunità di credenti e in tutti i livelli della società, rapporti interpersonali veri, autentici, fraterni? Rispondo dicendo che, fra i mali del nostro tempo, il più grave è una diffusa solitudine, una forma d’indifferenza per tutto ciò che è “altro”. L’egoismo è all’origine di tante altre inquietudini che affliggono il mondo contemporaneo. Gesù ci parla di un Dio che “è” un insieme di relazioni fra persone. Il fondamento della nostra vita è descritto da Lui come l’impegno ad amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amati. La relazione interpersonale, vissuta secondo l’amore e lo stile del Vangelo, è la struttura principale del nostro essere uomini e donne. È il succo profondo della nostra esistenza. William Shakespeare, in un sonetto nel quale il grande drammaturgo inglese risponde a un amico, che gli aveva confidato il dolore di essere stato abbandonato dalla moglie, afferma: “essere soli è come essere nessuno”.

Gesù che nasce, che ci dona la sua “familiarità” ci ricorda che non siamo soli e che da soli non ci salviamo.

Dobbiamo imparare a tenere aperte le porte e acceso il focolare. Quelle porte che si sono chiuse davanti al Figlio di Dio, che è nato in una stalla, perché per la sua mamma e per lui “non c’era posto” in una casa decente! Tenere aperte le porte vuol dire avere il gusto dell’accoglienza. Quando il focolare è acceso e la porta è aperta, chi si trova in una strada fredda e inospitale chiede, spontaneamente, di poter partecipare di quel calore e di quella fraternità.

Mi piacerebbe che il Santo Natale ci portasse, in dono, la propensione all’apertura, per spalancare il cuore a un’esperienza profonda di condivisione e partecipazione, guardando ai fratelli che camminano al nostro fianco - senza dimenticare coloro che la società “scarta” - , perché tutti, più di qualsiasi altra cosa, abbiamo bisogno di essere benvoluti, accolti, perdonati e amati.

Auguro a tutti che il Santo Natale faccia entrare la luce dell’Emanuele (il Dio–con–noi, il Dio della familiarità) nelle nostre vite, e così ci doni la sobrietà, la tenerezza, la bontà e l’accoglienza che scaturiscono dalla contemplazione dalla greppia che ha ospitato un Dio incarnato.

Buon Natale!

© RIPRODUZIONE RISERVATA