Se Como nel dubbio
spegne la musica

Ci risiamo. La nuova puntata della Como by night finita in barzelletta. Drammatica per giunta. Ma non è detto che le barzellette facciano sempre ridere. Storpiate da chi non le sa raccontare, infatti sono un pianto. Ieri la Questura di Como ha emesso un provvedimento di chiusura per 30 giorni, contro la discoteca Made Club, in centro città. No, non ci sono storie torbide, traffici di strane sostanze, malaffare, scandali come succede a volte quando un locale viene chiuso (per un mese). Tutto parte dalla rissa, se vogliamo chiamarla tale, capitata una settimana fa all’interno della suddetta discoteca. Un ferito, l’ambulanza, il clamore. Durato qualche giorno, sui giornali e sui social network. Al tramonto del quale (clamore) ecco il provvedimento: un mese a porte chiuse, come negli stadi dopo i famosi cori di discriminazione territoriale. Secondo la filosofia del punirne cento per educarne uno.

La mossa della Questura è chiara e in buona fede: in presenza di un disdicevole fatto di ordine pubblico, capitato all’interno della discoteca, e di una clientela che, seppur in minima parte, aveva dato segnali di turbolenza, si chiudono i battenti per 30 giorni. Giusto? No. Almeno secondo noi. Perché bisogna vedere il peso specifico del reato in questione. Per quel che se ne è capito, uno scontro tra due-tre avventori durato pochi secondi. Giustifica la chiusura di una attività per 30 giorni?

Giustifica mettere un locale in ginocchio, con impegni artistici già fissati nei prossimi weekend, per i quali dovrà pure pagare delle penali per impegni presi e non rispettati? È un provvedimento equo? Fa bene alla città? Ognuno può darsi delle risposte. Ma la sensazione è che sia stata usata la mano pesante.

C’è anche un fatto comico, nella vicenda: la discoteca in questione, infatti, è posizionata proprio di fronte alla Questura di Como. Sceneggiatura rivista per un Peppone e Don Camillo della notte, con interventi che i poliziotti potrebbero fare anche senza accendere il motore della volante. Arrivano, controllano e se ne vanno.

Ma c’è dell’altro. Il fatto ci riporta alla strana sensazione di disagio, di inadeguatezza, di stranimento che questa città mostra quando deve trattare l’annoso problema sociale del divertimento notturno. Si rigira il problema tra le mani come un oggetto misterioso. E lo guarda con l’espressione della mucca che guarda passare il treno.

Diciamoci la verità: un concerto del rapper Joe Pequegno (perché questo era l’oggetto artistico della serata in cui c’è stato il misfatto), mica Vasco Rossi, a Como può diventare un problema di ordine pubblico, da gestire con il pugno di ferro. Una cosa di cui parlano tutti.

Come facciano a gestire l’Estival Jazz nella vicina Lugano, con migliaia di avventori in piazza, qualcuno che alza il gomito, e forse le mani, ma senza che venga sempre messo tutto in discussione, come succede a Como, è un mistero. La scorsa estate, stessi pruriti, malumori, nervosismi per la festa comincuiata in città e proseguita a Bellagio, tramite il viaggio del famoso battello in discoteca.

Stessa fine, i mega aperitivi all’aperto dell’hangar che richiamavano avventori milanesi in un ambientazione street cool e naufragati tra divieti e polemiche. A Como, per tradizione, trattandosi di cose non necessarie, si sceglie sempre la via più breve: spegnere sempre e comunque la musica. Ma è la strada davvero utile per una città che vorrebbe essere turistica?

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