Stefano fa ancora
gol per Como

Stefano Borgonovo continua a fare gol. A radunare gente allo stadio, a stupire con il suoi guizzi, a illuminare con il suo sorriso. Ok, non c’era nessuna partita ieri al Sinigaglia. Ma i cori e la gente erano lì per lui come ai vecchi tempi, la squadra c’era (e che squadra: Baresi, Vierchowod, Albiero, Fontolan, Guerini, Braglia, Todesco più mezzo Como di oggi), il suo sorriso non era in campo ma sul grande striscione appeso all’inferriata. E il gol è stato bello proprio come sapeva fare lui. Che so, una girata fulminea in mezzo all’area, un pallonetto sontuoso e morbido, una mezza rovesciata. Già: soffermiarmoci sul gol. La sua essenza. Sul gol di ieri, intendiamo. Avere spinto una città a dedicargli una piazza, a ritrovarsi nel suo nome, a riflettere di come lo sport possa (se interpretato da personaggi positivi) essere di esempio, avere messo sullo stesso palco una variopinta umanità, tutta lì per la stessa causa. Un sindaco, un assessore, una vedova, un gruppo di tifosi, un presidente, gli ex campioni. Sembravano le statuine di un presepe che nel nostro cuore abbiamo tutti posizionato con cura ed emozione, come si fa a Natale. E la stella cometa era lui, Stefano.

Capace di un mezzo miracolo, come faceva nelle aree di rigore. Stavolta invece degli avversari, c’erano lo scetticismo, la freddezza comasca, la pigrizia nel ricordare, la passione che non c’è più. Lui ha dribblato tutti e ha fatto gol. E ha fatto un mezzo miracolo. Cioè, a ha fatto partorire dalla città, intesa come comunità, come piccolo presepe azzurro, una luce. Un barlume di emozione. Che ci vuole cuore a farla. E in questo, diciamocelo chiaro e tondo, Como gioca sempre in trasferta. Como che dimentica, che non si emoziona, che non realizza, che si addormenta. Como priva di entusiasmo. Che è invece il sale della vita, ma soprattutto la benzina per ottenere qualsiasi cosa.

Stavolta no. Stavolta Como si è svegliata. Anzi, è stato Borgonovo a svegliarla. Con una pallonata. Bum. Così ha dedicato una piazza, uno slargo, un piazzale, chiamatelo come volete, al suo campione. Stefano Borgonovo, centravanti del Como degli Anni Ottanta, che evidentemente è stato qualcosa di più di un semplice calciatore. E la malattia crudele che lo ha portato via c’entra, ma fino a un certo punto. Borgonovo era già Borgonovo anche da sano. Perché aveva l’allegria negli occhi e la gente ne percepiva il fremito dagli spalti. Chi non va allo stadio, ha difficoltà a capire quel sottile filo di congiunzione che unisce la gente al campione. A certi campioni. Capita, impossibile da spiegare. Poi, la malattia lo ha trasformato in un modello. Riassunto in quella frase che campeggia in uno striscione: «Non c’è paura nel cuore di chi lotta».

A volte le storie insegnano più di mille professori. Quella di Borgonovo, stampata in un libro che andrebbe letto a scuola come lezione di vita iperitura, lo fa.

La città si è ritrovata a riflettere di quanto sia bello fare squadra, emozionarsi e valorizzare ciò che si ha. Questa la lezione di Borgonovo. Non possiamo sperare che abbia imparato di colpo. Ma chissà, forse un po’ sì. Il luogo è romantico e commuove: il piazzale davanti allo stadio è quello dove Chantal, la moglie che combatte ora la battaglia della fondazione contro la Sla, aspettava Stefano dopo le partite. Lui, in quel piazzale, sbucava dal cancello, col borsone in spalla. Ora Stefano è lì per sempre.

Grazie, anche, all’idea e alla insistenza di un gruppo di tifosi, poi assecondata da sindaco, prefetto e compagnia, che hanno dimostrato quanto di bello ci può essere nel cuore di una categoria spesso bistrattata, come quella tifosa. Questa dedica, questo piazzale è un omaggio a un uomo giusto. Si dice, spesso, che sono i migliori ad andarsene. Ma è un trucco. Perché molti diventano migliori dopo la morte. Non è il caso di Stefano Borgonovo.

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