Turismo a como
Manca l’identità

Cosa sarebbe il Martini senza Clooney, Unieuro senza «l’ottimismo è il profumo della vita» di Tonino Guerra, la minerale senza il «Liscia, gassata o Ferrarelle» e il profumo Denim senza «l’uomo che non deve chiedere mai»?

Le aziende produttrici di questi prodotti avrebbero un bel po’ di soldi in meno in cassa. Ecco, a Como turistica servirebbe proprio un suo «No Como? No tourism» o un «Como, what else?» al posto del notissimo «Nespresso, what else?», del resto Clooney è di casa. Il pensiero viene oggi, quando agosto sta per finire e Ferragosto è il giorno del giro di boa, o dei bilanci se si preferisce.
Dopo le somme tirate a inizio stagione, andata malino per il maltempo, con un -9% di arrivi italiani stimati dal tavolo di concertazione della Camera di Commercio per il periodo gennaio-giugno, e invece un confortante +3% di arrivi stranieri, ora è tempo di capire se si può archiviare l’estate 2013 con un segno più.

Al momento, la situazione secondo gli operatori sarebbe stabile sui dati di giugno e non c’è da stare allegri, anche se il sorriso pare possa tornare a patto che la città decida se essere o meno una città turistica. Andrea Camesasca, vicepresidente degli albergatori di Confcommercio, si è chiesto se Como voglia essere turistica o preferisca optare per la vocazione produttiva manifatturiera, o invece voglia essere tutte e tre le cose. Mentre però sul fronte produttivo e manifatturiero la città avrebbe già una sua precisa identità, benché provata dal periodo di crisi, starebbe ancora cercando il proprio io turistico. Un’identità che l’alto lago ha già ben chiara da tempo «Basta fare un giro tra Domaso, Gravedona e Dongo per capire che lì si respira un’aria turistica che a Como manca» dice Camesasca. Per trovare quel sapore di turismo, secondo il vicepresidente, bisogna puntare molto di più sulla comunicazione, sulla pubblicità, sul «No Como, no tourism», altrimenti i tanti sforzi di politici, operatori, associazioni, volontari, i tanti progetti pensati, studiati, discussi non andranno a segno.

È il momento del fare. Del resto, la conferma arriva dal progetto che da anni Camera di Commercio e Amministrazione provinciale portano avanti con i giornalisti stranieri, soprattutto di Francia, Inghilterra, Germania e Stati Uniti. Li invitano tre giorni a Como e sul lago, mostrano loro cultura e territorio così che i professionisti della comunicazione possano tornare in patria e scrivere di quanto sia bello il Comasco. Si tratta di brevissimi viaggi, ma che hanno un ritorno importante, visto che le presenze di turisti europei o americani aumentano sempre dopo l’uscita degli articoli redatti dai giornalisti stranieri su Como.

E se il turismo è commercio di cultura, ambienti e tradizioni, la pubblicità ne è l’anima. Se non si fa una buona pubblicità di Como, non si avrà un aumento dei turisti. «La cultura senza comunicazione è solo cultura, ma non ha ricaduta turistica» ha scritto Camesasca in un tweet al ministro della cultura Bray e lo ripete oggi invitando i comaschi anche a deporre le armi di una scaramuccia di campanile improduttiva. «Como – dice Camesasca – dovrebbe fare squadra, non far prevalere il concetto, purtroppo radicato, che io vinco solo perché tu perdi». Interventi pubblici o privati, miglioramento qualità/prezzo? Queste voci da sole non servono, pubblico e privato devono camminare insieme e il rapporto qualità/prezzo a Como pare sia già buono. I turisti finora sono indulgenti. In questi giorni d’agosto infatti le lamentele registrate dagli operatori sono poche, una su tutte il bagno che nel primo bacino che non si può fare. «E perché, se siamo al lago?» si sente chiedere Tasell ogni volta che fa salire in barca un turista. «Perché l’acqua non è pulita, ma ci sono i lidi» risponde lui. «Sì, ma al lido il tuffo si fa in piscina» rispondono i turisti.

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