Via Milano e il traffico
da sinistra a destra

“Dammi solo un minuto”, cantavano i Pooh. “Dammi solo due ore” , chiese ai cittadini motorizzati la giunta di Mario Lucini quando decise la chiusura di via Milano Alta dalle 7 alle 9 del mattino, una delle fasce orarie (ma non l’unica) più trafficate di una città che soffoca di traffico come Como. Quali che siano stati i benefici, che ci sono stati, sullo scorrimento della circolazione del trasporto pubblico, una cosa è certa: a giovarne sono state le casse del Comune. Il dato dei 200mila euro annui incassati, in ribasso dopo le campagne sulla segnaletica poco chiara per i tanti automobilisti che, forse obnubilati da sveglie mattutine precoci, insistevano a imboccare il “burg drizz” e non via Grandi senza alcuna speranza di farla franca a cospetto dell’implacabile e imparziale occhio elettronico, dice tutto.

Non è un segreto che la filosofia che ha ispirato l’azione della giunta di centrosinistra, interpretata dall’assessore Daniela Gerosa, sia stata quella di limitare e disincentivare l’afflusso di veicoli privati nelle zone centrali della città, attraverso l’incremento della sosta a pagamento e delle zone a traffico limitato. Una politica, da alcuni interpretata come troppo da seguaci di Ned Ludd che si opponeva all’inesorabile avanzata dalla meccanizzazione, che sarebbe dovuta sfociare in quel piano del traffico abortito tra le polemiche sul declinare del mandato. Un cammino che era subito inciampato nell’indisponibilità del grande parcheggio della Ticosa, strategico in quell’ottica. Un problema certo non attribuibile all’azione della giunta Lucini ma ereditato dalle sciaguratezze dei predecessori.

A ognuno il suo giudizio sulle scelte e sul piano del traffico, ma almeno rappresentavano un tentativo per risolvere un problema forse non potrà mai essere liquidato fino alla messianica realizzazione di quel secondo lotto della tangenziale di Como che per ora vive soltanto nelle promesse elettorali.

Il mosaico dell’insostenibile pesantezza del traffico cittadino è quanto di più complesso possa esistere. Basta una strada chiusa per determinare, in un breve lasso di tempo, le celeberrime conseguenze a San Francisco di una mosca che sbatte le ali a Pechino. La verità in tasca, perciò, non la porta in giro nessuno.

È evidente però che la filosofia a cui si ispira l’amministrazione Landriscina, che con ogni probabilità dovrebbe poter ripristinare il ricovero per la aute nell’ex tinto stamperia più famosa di Como, è diversa da quella di coloro che hanno occupato le stanze più importanti di palazzo Cernezzi dal 2012 al 2017 e tende a incoraggiare di più il traffico privato, a costo anche, come nel caso di via Milano Alta, di penalizzare le casse comunali non proprio floride. Certo, la pizzardonica telecamera della vecchia via cittadina sarà spenta, se sarà, per un periodo provvisorio di sperimentazione. Poi potrebbe tornare a fare il suo lavoro e finire a riposo o magari essere trasferita altrove.

Alla luce dell’impossibilità di misure risolutive, in assenza di onerosi interventi infrastrutturali, per stroncare l’emergenza traffico a Como, l’idea di togliere per quanto possibile penalizzazioni al traffico privato dovuta all’imposizione di inutili disagi, potrebbe anche rappresentare una scelta di buon senso. Il rischio però è quello di lasciare incancrenire la situazione, in attesa di un Godot che potrebbe non giungere mai e finire per aggravare la già allarmante situazione della qualità dell’aria inglobata dai polmoni dei comaschi. Non che l’eventuale riapertura per due ore di via Milano Alta sia determinante in questo senso, ma rappresenta comunque un tassello, specie in assenza di quella rotonda promessa in piazza San Rocco ma ancora non realizzata. Visto da destra come da sinistra il traffico è un problema che non si risolve con un approccio ideologico. Se ve n’è un altro qualcuno si faccia avanti per suggerirlo e metterlo in pratica.

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