Olindo in cella ha il cuore malato
ma a Natale abbraccia Rosa
Olindo Romano sta male. Chiuso nel carcere milanese di Opera, aspetta l’esito di una serie di approfondimenti clinici voluti dagli stessi responsabili della struttura carceraria. Però ha potuto riabbracciare sua moglie Rosa per Natale, che era il sogno della sua vita
Chiuso nel carcere milanese di Opera, dopo esservi stato trasferito da quello di Parma, il netturbino erbese aspetta l’esito di una serie di approfondimenti clinici voluti dagli stessi responsabili della struttura carceraria, come conferma il suo avvocato, il legale milanese Fabio Schembri.
Ma se il suo cuore fa le bizze, lo spirito sembra aver tratto giovamento - compatibilmente con lo status di ergastolano - da un trasferimento che gli ha reso la vita meno dura, almeno dal punto di vista logistico. Sua moglie Rosa, per un certo periodo detenuta a Vercelli, oggi è a Bollate, in una cella singola, una ventina di chilometri dal marito. Incontrarsi è meno faticoso. Spostamenti più brevi, tempi accorciati, meno stress. Rosa e Olindo si sono abbracciati per Natale, aspettano di rifarlo entro gennaio. Perché il refrain non cambia, soprattutto per lui, l’omone della corte di via Diaz accusato di nefandezze financo difficili da ricordare, che tuttavia, dal giorno del suo arresto, non fa che dedicare i propri pensieri alla moglie. Oggi come allora, nelle ore subito successivo al suo trasferimento al Bassone, Olindo fuma e scrive, scrive e fuma. Sono pagine di memoriali, compilate con monotona precisione, fitte di pensieri e di riflessioni. Sullo sfondo resta sempre la sua Rosa, e il dolore per una separazione alla quale Olindo non sa rassegnarsi. Le speranze sono ovviamente tutte relegate al capitolo processo d’appello che, come noto, il Tribunale di Milano ha fissato per il prossimo 17 marzo. Si giocano tutto Rosa e Olindo, relegati su una spiaggia che se non è l’ultima poco ci manca. Di fronte a loro una montagna, innalzata pietra su pietra nella sentenza di primo grado, quella che aveva condannato entrambi all’ergastolo e all’isolamento diurno, il massimo previsto dal codice Penale italiano, una scelta quasi obbligata, secondo i giudici, al termine di un processo lungo e drammatico, con prove ritenute evidentemente schiaccianti:dalla doppia confessione ritrattata fino al dito indice del solo sopravvissuto, il superteste Mario Frigerio, puntato senza esitazione contro Olindo in un’aula muta e attonita.
«Ci prepariamo all’appello», ribadisce l’avvocato Schembri, sempre convinto di poterlo affrontare con la speranza di dimostrare l’impossibile, cioè la più totale estraneità dei coniugi Romano da ogni accusa. «Innocenti», vittime di un colossale raggiro, di un gigantesco equivoco, al quale finora non ha creduto nessuno.
St. F.
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