Il delitto

Ecco come l'armaiolo Alberto Arrighi, quarant'anni, sposato e padre di due figlie ha sparato al 42enne Giacomo Brambilla, all'interno del engozio armeria di via Garibaldi

COMO - L'armaiolo Alberto Arrighi, 39 anni, sposato e padre di due figlie, titolare dell'omonimo negozio d'armi da fuoco di via Garibaldi, è da ieri sera in stato di fermo con l'accusa di omicidio volontario e di distruzione di cadavere. Al culmine di una lite avvenuta sul retro del suo esercizio commerciale, avrebbe esploso più colpi di pistola - una Rugher calibro 22 estratta da una vetrinetta da esposizione - all'indirizzo di Giacomo Brambilla, 42 anni, artigiano, proprietario e gestore di diverse pompe di benzina tra la provincia e la città, dove abitava in un appartamento della centralissima piazza Cavour con la compagna e un figlio in tenera età. Oltre ad Arrighi, la polizia ha arrestato anche il suocero, Emanuele La Rosa, 67 anni, proprietario della pizzeria Conca d'Oro di Senna Comasco, sospettato di averlo aiutato a far sparire la salma di Brambilla, rinvenuta ieri mattina in una scarpata sotto la ex Statale del Sempione a Varzo, dalle parti di Domodossola.

Il delitto risalirebbe al primo pomeriggio di lunedì, quando Arrighi e la vittima si danno appuntamento in via Garibaldi, nel negozio. Discutono animatamente, forse per questioni di tipo finanziario, poi l'armaiolo spara. Le telecamere di sicurezza riprendono tutto, distintamente, istante per istante. Dopo avere compiuto l'omicidio il commerciante trascorre il pomeriggio al tiro a segno di via Belvedere, dove è conosciutissimo, lasciando il negozio chiuso con il corpo nascosto all'interno. Prima di uscire lava la pistola e la ripone in un espositore. Del cadavere si sbarazza la sera, probabilmente con l'aiuto del suocero. Compie un'operazione atroce e incomprensibile:lo decapita. La testa finisce chiusa in un forno della pizzeria di Senna. La ritroverà la polizia il giorno successivo, ieri mattina, mentre il corpo, caricato sulla Porsche Cayenne di proprietà dello stesso Brambilla, viene portato fino a Domodossola e gettato in un dirupo sotto la strada. Vicenda incomprensibile: notissimo alle forze dell'ordine, con le quali collaborava da anni come consulente tecnico della Procura, è stato interrogato per ore a partire dal pomeriggio di ieri, seduto a una scrivania negli uffici della squadra mobile. Con lui il suo avvocato, Ivan Colciago, l'uno e l'altro di fronte ad Antonio Nalesso, uno dei sostituti procuratori con cui più a lungo aveva collaborato, anche in un passato recentissimo e anche per il delitto di Antonio Di Giacomo, freddato lo scorso ottobre in via Cinque Giornate, a poche centinaia di metri da via Garibaldi. Infinito l'elenco delle domande in sospeso: a partire dal ruolo del suocero.

Nel corso di una conferenza stampa convocata verso sera in viale Roosevelt, il questore Massimo Mazza ha spiegato che la Porsche di Brambilla è stata ritrovata in un Comune dell'hinterland milanese, il che significa che Arrighi non può avere fatto tutto da solo. Il sospetto è che lo abbia aiutato proprio il suocero, che il suocero lo abbia seguito in auto fino a Domodossola e che insieme abbiano gettato il cadavere decapitato nel dirupo, oltre un guardrail che, in quel punto, è alto quasi due metri. Arrivare a lui, ad Arrighi, non è stato difficile: ieri mattina Elena Puricelli, 36 anni, compagna di Brambilla, ne denuncia la scomparsa alla polizia. Dice che Giacomo non è tornato, e che tacere non è da lui. Dice anche che, il giorno prima, il suo compagno aveva appuntamento con Arrighi. Così, in mattinata,  gli agenti della squadra volante si presentano in negozio. Lui ci prova, nega, ma non regge: l'epilogo è una confessione, drammatica, dolorosa e inverosimile.

(03 febbraio 2010)

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