La mafia tra Como e Varese
Un omicidio fa scoprire le cosche

Dietro l'omicidio dell'imprenditore siciliano Giuseppe Monterosso - ucciso a maggio a Cavaria con Premezzo, nel Varesotto - c'era l'obiettivo di rafforzare il ruolo di referenti della cosca Messina-Albanese e di intensificare l'attività delle cosche nelle province di Como e di Varese

COMO - Dietro l'omicidio dell'imprenditore siciliano Giuseppe Monterosso - ucciso a maggio a Cavaria con Premezzo, nel Varesotto - c'era l'obiettivo di rafforzare il ruolo di referenti della cosca Messina-Albanese e di intensificare l'attività delle cosche nelle province di Como e di Varese. Lo scrivono i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Milano che, pochi giorni dopo la notifica di dieci ordini di arresto, si preparano anche a richiedere il rinvio a giudizio degli imputati di questo delitto organizzato tra il Comasco e la Sicilia con modalità che lascerebbero spazio a pochi dubbi: i pm parlano di «metodi tipicamente mafiosi» ripercorrendo fasi e contestazioni di un omicidio per il quale servì addirittura un benestare strappato al termine di un incontro ai "vertici" della famiglia di appartenenza.

È un caso di cui negli ultimi giorni si è parlato molto, specie a Porto Empedocle, dove la famiglia di uno degli indagati (Fabrizio Messina, fratello di Gerlandino, tra i latitanti più noti di Cosa Nostra) ha addirittura attivato i canali di un social network come Facebook, per rilanciare la campagna, molto in voga, contro i pentiti sulle cui dichiarazioni le Direzioni distrettuali costruiscono interi processi «spesso senza riscontri oggettivi».
Nel caso del delitto Monterosso, le posizioni più delicate sono quelle del 42enne Andrea Vecchia, agrigentino trapiantato ad Albiolo, di Alessio Contrino, 47enne di Tavernerio (Co) ma anche lui originario di Agrigento, di Calogero Palumbo, 49 anni, domiciliato a Blevio (Co), di Giuseppe Luparello, 25 anni, anche lui residente a Blevio, di Fabrizio Messina, 34enne di Porto Empedocle, e di "Zu Peppe", al secolo Giuseppe Volpe, 65 anni, anche lui di Porto Empedocle. Per la Dda di Milano, Contrino fu quello che sparò, ammazzando Monterosso ma anche ferendo l'autista Ernesto Viero, colpito in faccia e salvatosi per miracolo. Il mandante fu Vecchia, proprietario della "Eurotrasporti sas" di Albiolo, desideroso di vendetta per un attentato incendiario subìto all'interno della propria ditta, a suo dire pianificato proprio da Monterosso. Delicate anche le posizioni di Palumbo e Luparello: entrambi avrebbero preso parte alle riunioni organizzative che precedettero il delitto anche se Luparello, in più, fornì al killer casco e sottocasco per nascondere il volto. Fabrizio Messina e "Zu Peppe", cioè Volpe, sono indicati il primo quale «rappresentante provinciale» di Cosa nostra nella provincia di Agrigento, il secondo quale esponente di spicco della stessa organizzazione criminale: furono loro, secondo l'accusa, a concedere il via libera al progetto di Vecchia, che prima di sparare a Monterosso aveva domandato il permesso ai vertici delle cosche di Porto Empedocle.

L'obiettivo di Vecchia, dice l'Antimafia, era quello di rafforzare la propria presenza sul territorio delle province di Como e Varese, accreditandosi come referente delle cosche e progettando una mezza strage di nisseni, visto che nei piani c'era anche l'eliminazione fisica di Luigi Calogero e Salvatore Mastrosimone, rispettivamente fratello e nipote di Monterosso. Gli altri indagati sono Gaetano Ribisi, 41 anni di Palma di Montechiaro, accusato di avere procurato e venduto le armi, Paolo Albanese, 61enne di Cucciago (Co) e Raffaele Gigliotti, canturino di origini catanesi, 44 anni, accusati di avere detenuto armi.
In Sicilia, intanto, la sorella di Fabrizio Messina, Anna, difende il fratello (anche) tramite Facebook: punta il dito contro Alessio Contrino, pentito dal quale avrebbero preso le distanze perfino moglie e figli. «Non bastano le parole - dice Anna Messina -. Servono prove». La sorella parla di lui come di un ragazzo «dolce e sensibile», che nulla avrebbe a che fare con la pistolettate di Cavaria.

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