Arcellasco, come Rosa e Olindo
I D'Elia al lavatoio dell'orrore

Padre e figlio accusati dell'omicidio di Antonino Correnti, per tentare di far sparire le macchie di sanghe dai vestiti, si sono recati nello stesso luogo dei coniugi condannati all'ergastolo in primo grado per la strage di Erba

ERBA Posto strano il lavatoio di Arcellasco. Ci si arriva dalla Valassina, scendendo lungo la strada che scivola verso il cimitero. È nel cuore di un anfiteatro naturale molto bello, un prato immenso e vecchie cascine. Lo alimenta una roggia energica, che in questi giorni, dopo neve e pioggia, è stracarica d'acqua. Doveva essere così anche allora, la sera del 5 dicembre 2006, quando in fuga dall'appartamento della palazzina della strage di via Diaz, Rosa e Olindo vi si fermarono per lavare via il sangue dai vestiti, ma così era senz'altro anche martedì mattina, quando Carlo D'Elia e suo figlio Emiliano, scendendo da Valbrona, in questo luogo hanno compiuto la stessa, identica operazione. Quando confessando l'omicidio di Antonino Correnti, D'Elia senior gliel'ha raccontato, il pm Massimo Astori ha strabuzzato gli occhi. Quel lavatoio? «Sì, proprio quello».
Gli inquirenti, intanto, sospettano l'esistenza di una seconda arma del delitto, probabilmente un'arma da taglio, uno strumento compatibile con le lacerazioni e le fratture craniche evidenziate sulla nuca della vittima che, prima di essere uccisa con un colpo di pistola sparato a bruciapelo all'altezza della bocca, potrebbe essere stato colpito da dietro le spalle, forse addirittura da una seconda persona.

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