L'omicida: "Mettetemi
in cella con mio figlio"

Delitto di Valbrona: respinta la richiesta di Carlo D'Elia. L'autopsia sul corpo di Antonino Correnti conferma: le armi erano due

VALBRONA - Ai carabinieri e al pubblico ministero che lo interrogavano subito dopo l'arresto aveva detto: «Mi sono lavato ad Arcellasco. Avete presente? Al lavatoio usato anche da Olindo dopo la strage». Venerdì ha concesso il bis e al giudice delle indagini preliminari ha chiesto di poter essere messo in una cella assieme al figlio: una cella familiare. Come per Rosa e Olindo. Richiesta ovviamente respinta. Così come respinta è stata pure l'istanza di concessione di arresti domiciliari per il figlio. Restano così al Bassone Carlo ed Emiliano D'Elia, arrestati martedì per l'omicidio premeditato di Antonino Correnti, freddato con un colpo di pistola esploso a bruciapelo al volto, in località Visino di Valbrona.
Nel corso dell'interrogatorio per la convalida dell'arresto, ieri mattina in carcere davanti al gip Alessandro Bianchi, padre e figlio hanno sostanzialmente confermato quanto già riferito al pubblico ministero MassimoAstori. Il padre è tornato a difendere il figlio Emiliano sostenendo che lui non sapeva nulla dell'idea di sparare al rivale e che, anzi, avrebbe pure cercato di dividerli. Lo stesso figlio, rispondendo alle domande del giudice, ha mostrato una ferita al dito sostenendo fosse stata causata dal padre mentre, con il calcio della pistola, colpiva lo sventurato Correnti.
Dall'autopsia sul corpo della vittima, eseguita dal medico legale del Sant'Anna Giovanni Scola, sarebbero giunte conferme al sospetto degli inquirenti, ovvero che per aggredire Correnti sono state utilizzate due armi differenti: oltre la pistola, anche un corpo contundente differente dal calcio dell'arma. Sia Carlo che Emiliano D'Elia hanno confermato che i cinque o sei colpi al capo della vittima sarebbero stati sferrati con l'arma da sparo, ma i segni della ferita non sembrano compatibili con questa versione.

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