Arrighi, lettere dal carcere
"Sto vivendo un incubo"

L'armaiolo scrive agli amici, mentre la Procura nega il dissequestro del distributore Shell di via Paoli che apparteneva a Giacomo Brambilla

Alberto Arrighi scrive. Lo fa dalla cella del carcere del Bassone in cui è rinchiuso dal primo febbraio scorso, quando la polizia entrò nel suo negozio e capì cos'era accaduto. Scrive lettere dal carcere, indirizzandole agli amici, ai compagni di una vita, a quelli del poligono di tiro e del tiro a segno nazionale, a quelli che con le armi non hanno avuto mai nulla a che fare e a quelli che ogni giorno incontrava in centro storico, per un caffè e due chiacchiere in piazza Volta. «Sto vivendo un incubo» ha scritto Arrighi a molti amici, negli ultimi giorni, senza però mai fare cenno al delitto di cui dovrà rispondere o alle ragioni che quel lunedì pomeriggio lo spinsero a premere il grilletto. Scrive e manda saluti, ringrazia e rimpiange i tempi andati, al pari di tanti altri detenuti che come lui attendono di conoscere il proprio destino. L'inchiesta che lo riguarda veleggia intanto in direzione del traguardo: l'ipotesi che si è fatta strada nelle ultime settimane, è quella che l'armaiolo di via Garibaldi sia chiamato, dalla Procura della Repubblica, a rispondere non di "semplice" omicidio ma di un omicidio reso più grave dalla circostanza della premeditazione.
Intanto il pm ha negato la restituzione di alcuni oggetti personali per i quali gli avvocati di Brambilla avevano fatto istanza di dissequestro, chiedendo che fossero restituiti insieme ai locali amministrativi dell'impianto di via Pasquale Paoli, anch'essi destinati a rimanere sigillati ancora per un po'.

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