Perse la figlia sotto il cancello:
un anno al papà di Pellio

Lo strazio dell'incidente del luglio 2008, in cui perse la vita la piccola Asia, rivive nel tribunale di Menaggio. Il pubblico ministero aveva sollecitato una pena più pesante: «Lasciare un cancello di 140 chili in posizione precaria con dei bambini in giro non depone certo a favore dell'imputato». Il pm: «E' un processo senza vinti, né vincitori»

PELLIO INTELVI La giustizia umana deve fare il suo corso e non può guardare negli occhi un padre affranto, che dopo aver perso una di soli due anni è chiamato a rispondere penalmente della morte della piccola. E così, dal tribunale di Menaggio esce una sentenza di condanna a un anno reclusione per Roberto Borghi, il papà di Pellio Intelvi che il 9 luglio 2008 dovette raccogliere la sua Asia rimasta schiacciata sotto il pesante cancello scorrevole di casa. I genitori arrivano in aula, puntualissimi, alcuni minuti prima delle 11, ma l'udienza che vede papà Roberto nelle vesti di unico imputato inizia più di un'ora dopo. La testimonianza del perito incaricato dalla Procura di analizzare le condizioni del cancello, Massimo Bardazza, non depone a favore di Borghi: «Il manufatto si è ribaltato perché era sprovvisto di sistemi di fermo. In fase di chiusura, di conseguenza, è uscito dalla guida cadendo a terra». Il sistema di fermo l'aveva smontato l'imputato per verniciare il cancello stesso: «Avevo messo provvisoriamente un laccio che lo sostituiva e intanto, in famiglia, ci servivamo soltanto del cancelletto laterale, lasciando i nostri veicoli all'esterno della proprietà, che tra l'altro era divisa internamente da una staccionata proprio per evitare che i bambini potessero affacciarsi nell'area dove c'è anche il box con tutti i miei attrezzi da lavoro». Il pubblico ministero, Maria Vittoria Isella, pur riconoscendo la sua scomoda posizione, si attiene ai fatti e non fa sconti: «Lasciare un cancello di 140 chili in posizione precaria con dei bambini in giro non depone certo a favore dell'imputato. La perizia dell'ingegner Bardazza è eloquente in proposito». La pena richiesta dalla pubblica accusa è pesante: 2 anni e mezzo di reclusione. Borghi ha un sussulto e si copre il viso tra le lacrime. Dietro, nello spazio adibito al pubblico, sua moglie reclina semplicemente il capo: lei, più di chiunque altro, è vittima due volte, ma il suo sguardo, già fin troppo segnato, non tradisce ulteriori emozioni. Il difensore, Gianluca Vissi, prova in qualche modo a smontare le certezze dell'accusa, ma punta soprattutto sulla comprensione di un padre disperato: «E' un processo che finirà comunque senza vinti, né vincitori. Non riconosco tutta l'ovvietà che intravede la pubblica accusa, ma anche se qualche responsabilità dovesse essere provata a carico del mio assistito, la condanna chiesta mi appare del tutto sproporzionata a fronte delle sue eventuali colpe». Il giudice si ritira e l'aula, per un attimo, rimane deserta. I coniugi Borghi escono a respirare una boccata d'aria assieme al loro legale. Poi arriva il verdetto del giudice: pena mitigata rispetto alle richieste del pm. Ma è comunque una condanna che pesa come un macigno.
Gianpiero Riva

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