Valbrona: L'omicidio? Colpa mia
D'Elia prova a scagionare il figlio

L'uomo, 57 anni, e il congiunto ventenne Emiliano, entrambi detenuti in carcere, sono accusati della morte di Antonino Correnti, l'imprenditore di 63 anni ucciso la mattina del 23 febbraio in un parcheggio del paese

VALBRONA «Mio figlio era nel posto sbagliato nel momento sbagliato e tutto questo per colpa mia. Lui ha soltanto cercato di evitare il peggio dal momento che aveva intuito la mia debolezza». Carlo D'Elia, 57 anni, e il figlio ventenne Emiliano, entrambi detenuti in carcere, sono accusati dell'omicidio di Antonino Correnti, l'imprenditore di 63 anni ucciso la mattina del 23 febbraio nel parcheggio di Visino di Valbrona. L'appello al nostro giornale del padre, scritto a penna su due fogli dalla sua cella del Bassone, ha come obiettivo quello di alleggerire le responsabilità del figlio Emiliano, che nella lettera chiama Emy: il padre cerca di discolparlo dal ruolo decisamente attivo che invece gli è stato attribuito fino adesso dagli inquirenti. Ai primi di aprile, infatti, il Tribunale del riesame di Milano ha rigettato l'istanza di scarcerazione del giovane che era stata presentata dal suo avvocato in quanto i giudici lo avevano ritenuto «pieno e consapevole correo del padre». All'alba del 24 febbraio Antonino Correnti era stato ucciso con un colpo di pistola da distanza ravvicinata nel posteggio di via Madonna del Pozzo, dopo essere stato colpito con violenza alla testa da un corpo contundente. I carabinieri di Asso avevano arrestato poco dopo Carlo D'Elia e, il giorno seguente, il figlio Emiliano. Carlo aveva confessato il delitto, motivandolo con antichi rancori maturati per questioni economiche.  Secondo i magistrati del riesame erano molti e gravi gli indizi che inchioderebbero Emiliano, oltre che Carlo, all'omicidio. Innanzitutto le continue contraddizioni nelle versioni fornite dai due ai carabinieri prima, al pubblico ministero poi e al giudice delle indagini preliminari infine; quindi il ritrovamento della pistola Walther 7,65, da parte dei carabinieri, sul luogo di lavoro del giovane D'Elia. Una pistola che secondo i giudici del  riesame potrebbe non essere quella che ha sparato (che il padre ha descritto come una Beretta, comprata per 800 euro da un anonimo amico di Roma, e che ha riferito di aver gettato nel lago del Segrino), a riprova del fatto che - come riferito dall'autopsia - due sono state le armi utilizzate nell'omicidio.
Ma sono soprattutto le ripetute contraddizioni e la moltitudine di versioni rese agli inquirenti,
a far concludere ai magistrati per un concorso «a pieno titolo col padre» di Emiliano. In particolare il figlio aveva detto ai carabinieri, subito dopo il fermo, che aveva saputo dal padre dell'intenzione di «voler sistemare il Correnti», versione poi negata di fronte al pubblico ministero.

© RIPRODUZIONE RISERVATA