Tragedia in sala parto
Il dolore del papà di Thomas

Parla Domenico Montanino, marito e padre di Betty Petrone e del suo bimbo, morti due anni fa: «Non credo alle conclusioni dei periti del tribunale. Voglio giustizia»

Daremo battaglia, promette Domenico Montanino, marito e padre di Betty Petrone e di quel suo bimbo, Thomas, morti due anni fa proprio in questi giorni durante uno sfortunatissimo parto all'ospedale Valduce.
Montanino esce allo scoperto dopo avere appreso dell'esito delle perizie "super partes" chieste dal giudice Nicoletta Cremona, chiamata a valutare l'operato dei ginecologi e degli ostetrici che in quelle ore seguirono il travaglio e il parto. Dice di non capire come sia possibile che i consulenti tecnici del giudice abbiano potuto scagionare, come hanno fatto, il personale che assistette sua moglie. «Io e i miei figli cerchiamo risposte - dice il marito di Betty - Abbiamo vissuto due anni durissimi, la mia vita oggi è difficile, quasi impossibile. Non penso che a lei, a quel nostro bambino, a quel che accadde quel giorno in sala parto. Non faccio che ripensare ai medici, alle infermiere, alle ostetriche che erano con me... Sono certo che sanno come andarono le cose ed è il motivo per cui, ogni giorno, prego che qualcuno o qualcuna di loro venga a cercarmi, a parlarmi, a spiegarmi. Mia moglie - insiste Montanino - mia moglie soffriva da ore, mio figlio soffriva da ore. Il battito era lentissimo, il medico prese la ventosa benché Betty gli avesse chiesto di non farlo, di non utilizzarla. Lo pregai di lasciar perdere, di fare un cesareo, ma non ci fu verso... Oggi i miei consulenti dicono che bisognava intervenire almeno un paio d'ore prima...».
Per gli esperti del tribunale, la morte di Betty fu causata da «embolia da liquido amniotico» con conseguente «sofferenza anossica del feto e gravissima compromissione cerebrale». I periti escludono profili di responsabilità da parte di chichessia. L'esito di quel parto, dicono, fu tragicamente accidentale. L'ultima parola spetta al gup.

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