Il delitto del furgone giallo
La procura vuole il processo

Sarà il giudice che ha condannato Rosa e Olindo a occuparsi del fascicolo per l'omicidio di Antonio Di Giacomo, l'imprenditore ammazzato in centro a Como. Gli imputati, nel frattempo, continuano a rimpallarsi le accuse

COMO Loro si rimpallano le accuse. Come in un'eco entrambi sembrano raccontare la stessa scena, ma con protagonisti invertiti: «Appena entrato in casa ho visto il corpo del Di Giacomo steso a terra e ho detto: ma cos'hai combinato?». Lo dice Emanuel Capellato, riferendosi al coimputato. Lo dice Leonardo Panarisi, parlando del figlio di Nilo il pugile. Chiamato a sbrogliare la verità del delitto di via Cinque Giornate sarà il giudice Alessandro Bianchi, presidente della corte d'Assise che condannò all'ergastolo Rosa e Olindo e che ora è giudice delle udienze preliminari.
A chiedere il rinvio a giudizio per i due imputati, entrambi accusati di omicidio volontario, è il pubblico ministero Antonio Nalesso, convinto che Antonio Di Giacomo sia rimasto vittima di un tentativo di rapina finito in tragedia ordito sia da Capellato che da Panarisi.
Gli atti che compongono i fascicoli di un'inchiesta iniziata come un vero e proprio mistero - dopo il ritrovamento del cadavere del piccolo imprenditore di Colico Antonio Di Giacomo chiuso in un armadio all'interno del suo furgone giallo abbandonato a Tavernerio - ma presto sbrogliata dagli uomini della squadra mobile della questura di Como, raccontano di un delitto ideato per rubare una manciata di orologi falsi, così da poter comprare un paio di stufe e un televisore Lcd, e di una sceneggiatura per far scomparire il cadavere degna di un film dei fratelli Coen (con l'idea di caricare il corpo su un carrello da bar e trasportarlo in centro fino a piazza Roma, passando da piazza Duomo). Gli avvocati dei due imputati pare siano intenzionati a chiedere il rito abbreviato.

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