I sindaci di Cantù si assolvono:
"Palababele, non è colpa nostra"

Giuseppe Anzani non ha nulla da rimproverarsi: "Agirei nella stessa maniera". Armando Selva, invece, crede che l'abbattimento "è solo una profezia che si avvera, non vi era altro destino per questa struttura". Edgardo Arosio conferma che aveva cercato una soluzione alternativa, senza però trovarla

CANTU' Una delle pagine più ostiche da digerire per l'industriosa Cantù, il naufragio del Palababele. Quanti in questi vent'anni e spicci che l'hanno visto appassire alla guida della città, difficilmente verranno sorpresi ad affacciarsi al cantiere curiosi di vederlo venire giù. Difficilmente ne vorranno conservare un pezzetto e difficilmente festeggeranno quando la piramide rossa sarà scomparsa. E soprattutto oggi, rivendicano ognuno di aver agito solo per il bene di Cantù, e di non aver rimpianti o biasimi da infliggersi per il passato.
«Non ho nulla da rimproverarmi – dice Giuseppe Anzani, sindaco Dc tra il 1985 e il 1988, quando il progetto mosse i primi passi – e se mi ritrovassi oggi nelle stesse condizioni agirei allo stesso modo». C'erano gli strumenti economici per coltivare qualche ambizione, con i contributi del Governo per le strutture sportive in vista di Italia 90, e scegliendo quel progetto di Gregotti si pensò di interpretare il sentire dei canturini, assicura, «se poi le cose precipitarono le responsabilità non sono mie, che posso dire di aver agito solo in maniera positiva. Demolire un'opera pubblica di tale importanza rappresenta una sconfitta, che appartiene tanto agli amministratori di ieri quanto a quelli di oggi».
Determinista, più che commosso, Armando Selva, il primo sindaco del Carroccio che Cantù abbia avuto, nel 1993. «Quel che sta accadendo è solo una profezia che si avvera – sottolinea – Non vi era altro destino per questa struttura. Abbattere un'opera pubblica è sempre molto spiacevole, ma per realizzare un progetto gestibile e adatto alle esigenze della città, occorreva demolire un manufatto sbagliato fin dalla sua concezione». Fu proprio lui, nel 1996, a fermare quel cantiere ritenuto troppo dispendioso e megalomane.
Qualche rammarico, invece, ce l'ha il suo successore, sempre leghista, Edgardo Arosio: «Avrei voluto festeggiare questo traguardo dieci anni fa, ma allora, quando proponemmo un bando per il project financing, rispose un'unica impresa, che voleva inoltre 7 miliardi di vecchie lire, visto che noi, sul piatto, non potemmo offrire 8 mila metri quadrati di commerciale o aree edificabili. A pagare per la soluzione, insomma, sarà ancora la città». Ci provò pure, Arosio, a terminarlo il Palababele, chiedendo un mutuo al credito sportivo. Ma il consiglio comunale bocciò l'idea. «Ora, forse, andrò a vederlo questo abbattimento, felice che si giunga a una soluzione. Ma versando anche qualche lacrima amara. Perché Cantù non si meritava tutto questo».

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