L'omicidio in via Cinque Giornate
verso il processo in corte d'Assise

A chi credere? Il dilemma al quale si troverà davanti il giudice Alessandro Bianchi. Che uno di loro sia l'assassino non vi è alcun dubbio. La procura è convinta che entrambi debbano rispondere di omicidio volontario, perché entrambi - secondo questura e pubblico ministero - erano presenti al momento del delitto. Ma chi ha sparato tra Capellato e Panarisi non si sa.

COMO - A chi credere? Il dilemma davanti al quale si troverà oggi il giudice delle udienze preliminari Alessandro Bianchi non è di quelli da poco. In aula approda il fascicolo per l'omicidio di Antonio Di Giacomo, rappresentante di cialde del caffè freddato senza pietà poco meno di un anno fa con due colpi alla testa, in pieno centro storico. Di fronte due versioni inconciliabili. A chi credere, dunque? All'uomo in casa del quale Antonio Di Giacomo è stato ucciso (cioè Emanuel Capellato) oppure a quello che si è prodigato per aiutare il figlio di un vecchio amico scomparso a far sparire il corpo della vittima (ovvero Leonardo Panarisi)? A chi sostiene di essersi assentato di casa cinque minuti, per andare a cercare la chiavetta per navigare su internet, e al rientro di aver trovato Antonio Di Giacomo morto (Capellato) oppure a chi dice di essere stato chiamato a delitto già fatto per ripulire tutto, neppure fosse il signor Wolf di Pulp Fiction (Panarisi)?
L'udienza preliminare di oggi si apre senza un elemento dal quale i legali di Leonardo Panarisi (gli avvocati Renato Papa e Stefano Pellizzari) contavano: l'accertamento sullo scontrino del parcometro di piazza Roma ritrovato dagli agenti della squadra mobile di Como appoggiato sul cruscotto del furgone giallo di Antonio Di Giacomo. La consulenza disposta dal pm Antonio Nalesso, infatti, non ha potuto fornire alcuna risposta: è passato troppo tempo per riuscire ad accertare l'eventuale presenza di impronte digitali su quello scontrino. I difensori di Panarisi sono convinti che nel pomeriggio del delitto il tagliando per la sosta a pagamento in piazza Roma non sia stato pagato da Antonio Di Giacomo, come raccontato da Emanuel Capellato, ma dallo stesso 35enne proprietario della casa scena del crimine. E questo - nella lettura dei legali del coimputato - nel tentativo di depistare l'inchiesta, depistaggio tentato anche con l'invio di sms sul cellulare della vittima ore dopo la sua morte per fissare appuntamenti di fantasia e crearsi così un alibi, per quanto labile.
Che uno di loro sia l'assassino non vi è alcun dubbio. La procura è convinta che entrambi debbano rispondere di omicidio volontario, perché entrambi - secondo questura e pubblico ministero - erano presenti al momento del delitto. Entrambi rischiano dunque una condanna all'ergastolo, anche qualora scegliessero il rito abbreviato, che prevede la riduzione di un terzo della pena. I loro precedenti penali e soprattutto la contestazione del reato di occultamento di cadavere, assieme a quello di omicidio volontario, fanno lievitare la pena al massimo: ergastolo con isolamento diurno. Proprio per questo motivo i legali sia di Panarisi che di Capellato sembrano intenzionati a portare il caso in aula, davanti a una corte d'Assise. Oggi si conosceranno con esattezza le strategie difensive, ma le possibilità che tra pochi mesi una giuria popolare sia chiamata a tuffarsi nel fosse e macabro delitto di via Cinque Giornate sembra, a questo punto, tutt'altro che improbabile.
P. Mor.

© RIPRODUZIONE RISERVATA