In aula i misteri del furgone
Due imputati, un solo assassino

Attesero che arrivasse il buio poi, sotto un'acqua che inzuppava le ossa, scivolarono via incerti rasente i muri di via Cinque Giornate, raggiunsero il Broletto e arrancarono fino a piazza Roma, dove li aspettava quel furgone giallo che di lì a pochi giorni sarebbe diventato il simbolo di questa bruttissima storia

COMO - Attesero che arrivasse il buio poi, sotto un'acqua che inzuppava le ossa, scivolarono via incerti rasente i muri di via Cinque Giornate, raggiunsero il Broletto e arrancarono fino a piazza Roma, dove li aspettava quel furgone giallo che di lì a pochi giorni sarebbe diventato il simbolo di questa bruttissima storia.

Mercoledì mattina, Leonardo Panarisi, 53enne originario della provincia di Agrigento, vita e casa a Tavernerio, e con lui Emanuel Capellato, 35 anni, comasco figlio d'arte (suo padre si chiamava Nilo, ed era un nome negli ambienti del contrabbando), compariranno davanti ai giudici della corte d'Assise di Como per giocarsi il loro lunghissimo match con la legge e il destino. Sono accusati di avere ucciso, per motivi incerti e probabilmente anche molto futili, un piccolo imprenditore di lontane origini calabresi, Antonio Di Giacomo che con la moglie e i figli, tre, viveva a Colico da qualche anno ma che, in realtà, aveva trascorso gran parte della sua vita a Cavallasca.

Soprattutto, stante al capo di imputazione, Capellato e Panarisi condividono una sceneggiatura a metà strada tra il noir e l'horror: Di Giacomo fu ucciso a pistolettate mentre sedeva a un tavolo nel monolocale di Capellato, in via Cinque Giornate. E i due imputati, che si accusano a vicenda rendendo tutto fuorché agevole il lavoro della Procura (il processo odierno segna peraltro il ritorno in corte d'Assise di Antonio Nalesso, uno dei magistrati comaschi con maggiore esperienza) si cimentarono in una impresa davvero degna di un film grottesco.

Acquistarono detergenti, sacchi e un armadio all'Obi di Montano Lucino: vi chiusero il cadavere e tentarono di farlo entrare in ascensore per portarlo di sotto. Si ruppe un'anta, ne fuoriuscì un arto, i due amici dovettero raddrizzare l'armadio e abbanonare il progetto di trasportarlo con un carrello preso in prestito dal «Breva», il locale in fondo alla strada in cui Panarisi lavorava come barista. Sotto la pioggia, recuperarono allora il furgone rimasto posteggiato in piazza Roma, entrarono in zona a traffico limitato e lo portarono fin a ridosso del portone. Poi lo caricarono.
Cadavere e furgone furono ritrovati due giorni dopo a Tavernerio.

Il programma di domani prevede, salvo contrattempi, l'audizione dei primi testimoni dell'accusa: la corte (presieduta dal presidente Vittorio Anghileri, a latere il giudice Valeria Costi, l'uno e l'altro affiancati da sei giudici popolari) sentirà il capo della squadra mobile di Como Giuseppe Schettino e due dei suoi collaboratori, all'epoca impegnati nelle fasi iniziali dell'indagine.
Difficile svolgere previsioni sulla presenza degli imputati: quasi certa quella di Leonardo Panarisi, assistito dal penalista comasco Renato Papa e dal collega lecchese Stefano Pelizzari, in forse quella di Capellato, detenuto a Torino per motivi di sicurezza, che sarà invece assistito da Gerardo Spinelli. Si attende anche il pubblico: l'Assise sarà celebrata a porte aperte. Si comincia alle nove.

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