Appello ai comaschi
per restaurare il Duomo

Don Lorenzo Bataloni rispolvera la storia della straordinaria sottoscrizione che permise di edificare la Cattedrale alla fine del Quattrocento. E invita i fedeli di oggi a fare lo stesso

COMO - <+G_SQUARE><+G_TONDO>Il Duomo ha bisogno di manutenzione. Di quella straordinaria (cioè del restauro dell'altare del Crocifisso) si occuperà la Soprintendenza ai beni architettonici, ma per quella ordinaria (i piccoli interventi di riparazione e di pulitura dell'abside della Madonna, in modo da restituire ai marmi e alle statue il colore naturale) ad assumersi l'impegno è stata la stessa cattedrale.
Per raggiungere l'obiettivo servono soldi, non pochi, e il Duomo di Como, come la gran parte delle cattedrali d'Italia, versa in difficoltà economiche. Un gesto di generosità è arrivato dalla Fondazione Cariplo e dalla Fondazione provinciale della comunità comasca che si sono rese disponibili a contribuire al 50 per cento della spesa da sostenere. Il resto dipende dall'impegno di tutti. «Sarebbe un vero peccato - scrive l'arciprete don Lorenzo Bataloni sul notiziario di dicembre - perdere questo gesto di generosità». E per capire come si possano realizzare grandi opere con piccoli gesti da parte di molte persone, è stato rispolverato un opuscolo tascabile dal titolo «La Cattedrale di Como», stampato nel 1913 a cura di Felice Scolari, nel quale già si parlava di quella che oggi viene chiamata «partecipazione allargata».
Nel libretto si spiega tra l'altro con quali mezzi poterono i comaschi innalzare questa grandiosa basilica, in una città che non raggiungeva i 15 mila abitanti. Una grossa fetta di finanziamenti derivò dai 100 scudi d'oro donati da Giangaleazzo Visconti e del ricavo della vendita dei beni dell'antica chiesa alienati nel 1492. Il resto provenne dalla generosità dei cittadini. È veramente curiosa la rassegna dei mezzi escogitati per raccogliere le offerte. Per esempio chi acquistava la cittadinanza comasca pagava 16 lire al Duomo; anche chi voleva essere sepolto nella cattedrale pagava, per l'esattezza 26 lire. I mugnai e i panettieri pagavano per poter lavorare in festa; i macellai pagavano per vendere la carne in Quaresima. I notai invece (sotto multa di 100 soldi) dovevano «cum bonis modi et dulciter» esortare i testatori a legare qualche somma alla fabbriceria del Duomo. Anche i canonici ovviamente davano il loro contributo: durante la Quaresima andavano in persona a questuare. Poi si portavano monili, argenterie, panni, tele e granaglie. E ancora le multe in denaro, inflitte a chi si rendeva colpevole di non meglio identificate leggere mancanze, andavano a vantaggio della fabbrica della cattedrale. «E così dicasi - si legge ancora nell'opuscolo - di altri cento piccoli cespiti che, senza imporre enormi sacrifici ai poveri e ai ricchi, concorrevano al proseguimento della eccelsa mole. Con questa gara soltanto potevasi raggiungere l'esecuzione di così vasto disegno». In chiusura l'appello affinché «ai marmi della cattedrale vadano spesso a ispirarsi i nipoti di quegli avi generosi». Una sorta di lezione che viene dal passato e che oggi si vorrebbe riprendere per sostenere restauri quanto mai urgenti.
Gigi Albanese

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