Al lavoro 36 ore a Capodanno
Bassone, vita dura per i medici

I sei camici bianchi in servizio in carcere sono costretti al superlavoro e minacciano le dimissioni

COMO - Il tappo di spumante, per la dottoressa Teresa Cera, salterà tra le mura dell'ambulatorio medico del carcere del Bassone. Un brindisi lungo 36 ore, quante quelle del suo turno di lavoro a cavallo tra 2010 e 2011. Teresa Cera è una dei sei medici in forza nella casa circondariale comasca: decisamente pochi per garantire una copertura in servizio "acca" ventiquattro e 365 giorni l'anno. Capita così che qualcuno si debba far carico di questa carenza di personale, entrando in servizio alle ore 20 della notte di San Silvestro per far ritorno a casa alle 8 del mattino di due giorni dopo.
Ma al Bassone, questa, non è considerata emergenza. Bensì prassi. Al punto che i medici di guardia in carcere, dopo anni di promesse rimaste senza risposta, hanno deciso di mettere sotto l'albero di Natale una minaccia che rischia di mettere in ginocchio il servizio: dimissioni di massa.
La lettera dei desideri - destinatario non già Babbo Natale, ma l'azienda ospedaliera Sant'Anna - dei medici che quotidianamente prestano servizio in un ambulatorio umido, dove piove dal soffitto, in cui la temperatura invernale fluttua tra i 13 e i 16 gradi, e che manca di tutto o quasi, inizia proprio da una richiesta di strumenti e strutture più adeguate per un luogo deputato a essere punto di riferimento sanitario per non meno di seicento persone.
«Da due anni - spiega Teresa Cera - il decreto Prodi ha fatto passare la sanità interna agli istituti di detenzione dal ministero della Giustizia a quello della Salute. Noi, dal 2008, siamo sotto l'azienda ospedaliera Sant'Anna. A distanza di due anni non abbiamo visto nessuno miglioramento. Non solo: ma da mesi nessuno risponde neppure più alle nostre istanze».
Ma quali sono queste istanze? «Abbiamo chiesto strutture e strumenti più efficienti, ma a distanza di due anni abbiamo avuto il primo telecardiografo, che non è neppure possibile utilizzare al pieno delle sue potenzialità perché non abbiamo il collegamento a internet per poter inviare i dati raccolti alla cardiologia del Sant'Anna». Detto del discorso strutturale e delle condizioni di un ambulatorio «in cui le norme sono a zero», non mancano le questioni economiche: «Noi dal 2005 non abbiamo alcun rinnovo contrattuale. Il ministero ci impone di fare formazione, ma nessuno ce la propone. L'ultima volta è stata nel 2008. Il nostro compenso è di 23 euro lorde all'ora che, tra ritenute, tasse, contributi oscilla tra i 13 e i 15 euro all'ora». Ma l'aspetto economico è importante fino a un certo punto: «Uno dei problemi principali è senz'altro l'esigenza di rinforzi. Attualmente siamo in sei. Un collega è in aspettativa. Uno si è dimesso ai primi di dicembre dopo dieci anni. Un altro, appena assunto, si è dimesso dopo la prima notte trascorsa in ambulatorio perché nessuno l'ha preparato a lavorare in carcere».
Parla del suo lavoro con orgoglio, la dottoressa Cera: «Nel 2003 un collega mi ha proposto di fare questa esperienza lavorativa. Mi ha detto: "è unica, provaci". Aveva ragione. I contatti umani che crei, l'attività che fai come medico, la crescita professionale sono impagabili. Fai tutto, soprattutto di notte: sei l'unica figura sanitaria di valore che rimane per quasi 600 detenuti. Ti ritrovi a fare lo psicologo, lo psichiatra, il chirurgo e hai contatto con esperienze umane che sono uniche». Ma l'entusiasmo non cancella i problemi: «Chiediamo al Sant'Anna di intervenire. Di considerarci finalmente medici. Altrimenti saremo costretti a dimetterci. A malincuore».
Paolo Moretti

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