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Sabato 05 Febbraio 2011
Dal reportage al falso
L'Unità nell'obiettivo
La fotografia, appena nata, documentò il Risorgimento ma inventò anche fotomontaggi, propaganda e controfigure
Ne parla un bel libro di Marco Pizzo, "Lo stivale di Garibaldi - Il Risorgimento in fotografia" (Mondadori, 216 pag, 35 euro), che ricostruisce sulla scorta di un ricco apparato iconografico (180 immagini d'epoca) quella prima stagione di reportage che documentò battaglie e volti, rovine e regnanti, condottieri e cerimonie. Il primo fotoreporter italiano fu Stefano Lecchi, che nel 1949 documenta la caduta della Repubblica Romana. Lecchi immortala gli effetti dell'assedio dei francesi: ma i limiti della nascente tecnica fotografica, che necessitava di lunghi tempi di posa, condiziona la natura stessa dell'immagine, che non può avere per oggetto corpi in movimento.
I grandi protagonisti del Risorgimento furono anche i grandi protagonisti della nascente fotografia: Garibaldi, Mazzini, i Mille, le cui imprese avevano suscitato l'attenzione di mezzo mondo, attirando in Italia corrispondenti e letterati, fra cui Dumas, che descrisse l'epopea garibaldina e prese parte così alla genesi di una vera e propria mitologia popolare. Le immagini degli eroi e dei luoghi del Risorgimento, spesso tirate in serie tematiche, conobbero infatti grande fortuna, e divennero, scrive Pizzo, «monumenti del ricordo, un modo di partecipare a un ipotetico pellegrinaggio nazionale».
Una tale carica simbolica propizierà però le prime manipolazioni "ideologiche" delle fotografie: l'esempio più eclatante è l'immagine simbolo del Risorgimento, quella della Breccia di Porta Pia del 1870. «Di questa immagine vennero scattate varie "pose" - scrive Pizzo - (...) e non è dunque casuale che nella ricerca di verità e verosimiglianza si sia arrivati a creare un abile fotomontaggio in grado di conferire a tutta la scena una maggiore enfasi drammatica. Sicuramente l'immagine più nota della presa di Porta Pia è quella che mostra un gruppo di bersaglieri sopra un terrapieno con il fucile imbracciato di fronte alle fortificazioni delle Porta. E si tratta di un abile "falso". Questa immagine si costruisce mediante una messa in scena, illusionistica e teatrale, realizzata utilizzando la medesima sagoma di bersagliere ripetuta più volte e, addirittura, girata e rivolta verso il campo per raffigurare i morti sul campo di battaglia». Questo fotomontaggio - che fra l'altro colloca l'azione davanti alla Porta e non poco distante, dove avvenne in realtà - divenne l'immagine ufficiale della presa di Roma, «in quanto ritenuta ben più significativa - e verosimile - di quella reale».
L'importanza dell'immagine, e del suo controllo, fu colta con eccezionale tempismo anche da Giuseppe Garibaldi, protagonista a sua volta di un clamoroso falso. Garibaldi sfruttò lo strumento fotografico «secondo una moderna concezione della comunicazione di massa». Del Generale circolavano, per sua stessa iniziativa, moltissimi ritratti, anche autografati. Con il tempo i ritratti tendono ed enfatizzare la connotazione eroica e a diventare, con la riproposizione di precisi elementi di contorno (la camicia rossa, il poncho, la posa) «una "icona popolare" e, in alcuni casi, semplicemente "pop"». Le immagini di Garibaldi divennero un bene di consumo molto ricercato, «come se fossero santini laici dotati di poteri taumaturgici». Ed ecco che la macchina della propaganda confeziona ad arte il celebre ritratto di Garibaldi ferito dopo la battaglia dell'Aspromonte: «Si tratta - scrive Marco Pizzo - di uno scatto abilmente montato e ritoccato in cui nell'impossibilità di usare il protagonista originale, il fotografo si serve di un "sosia" di Garibaldi». Con questa foto, realizzata nel 1862, prima del falso di Porta Pia, «per la prima volta il fotografo utilizza la fotografia, la "magnifica invenzione" del secolo, per creare il non visto, per fingere immagini, per ricostruire la visione dei fatti, per creare un falso documento visivo», rivelando tutta l'ambiguità del nuovo mezzo. Il culto dell'immagine portò anche alla creazione di un reliquiario laico virtuale: lo stivale - quello vero - forato dalla pallottola in Aspromonte, o la mano del Generale
Anche l'impresa dei Mille fu ampiamente documentata: Alessandro Pavia pensò di raccoglierne tutti i ritratti in un volume che era a tutti gli effetti un moderno monumento iconografico, come scrisse lo stesso Garibaldi dell'introduzione: «L'album dei Mille coi loro ritratti pubblicato da Alessandro Pavia e che raccomando all'Italia supplirà alla debole mia memoria per ricordare tutti i componenti della gloriosa schiera». L'opera, però, fu un flop commerciale, forse anche per l'elevato prezzo di vendita (460 lire), nonostante l'autore avesse previsto la possibilità di un pagamento a rate delle fotografie, vendute in pacchetti da 12, 24 o 48, un po' come le moderne figurine.
Apparentemente meno incline al culto di sè, ma non meno attento alla gestione dell'immagine, fu Giuseppe Mazzini: il fondatore della Giovane Italia badava ad apparire sempre vestito di nero, e fece un uso commerciale delle proprie fotografie, vendute in migliaia di esemplari, anche per corrispondenza, per finanziare la causa repubblicana.
La manipolazione delle fotografie produsse anche uno scandalo: Maria Sofia di Borbone - sorella di Sissi ed eroica protagonista accanto al marito Francesco II dell'assedio di Gaeta - apparve in alcuni fotomontaggi in cui il volto era stato sovrapposto al corpo di una modella nuda. Nel 1862 un processo cercò di accertare le responsabilità di quel primo uso distorto e scandalistico della fotografia.
Barbara Faverio
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