Ora parla la moglie di Arrighi:
"Quando ha ucciso non era in sé"

"Il pentimento? E' un fatto intimo, lungo una strada che appartiene soltanto a lui". Daniela Arrighi affronta la condanna a trent'anni di carcere inflitta la scorsa settimana al marito. E torna sulla premeditazione, dicendosi convinta che si sia trattato di una condanna eccessiva

COMO - Daniela Arrighi si è trasferita da mesi lontano da Como, con le sue figlie. Torna tutte le settimane, sia per incontrare il marito Alberto - detenuto al Bassone - sia per fare visita ai genitori, che vivono ancora a Senna Comasco vicino alla pizzeria.
Al telefono, 72 ore dopo la sentenza "tombale" che chiude il caso - trent'anni di carcere e tre di libertà vigilata - Daniela torna a parlare dopo un lungo periodo di silenzio, speso in attesa di conoscere il destino suo, del coniuge e, soprattutto, delle due figlie. «Mio marito non ha premeditato la morte di Giacomo Brambilla. Lo dico con certezza, e spero che prima o poi qualcuno vorrà crederci. Di più: sono anche convinta che non fosse in sé, e che non lo fosse più da mesi. Un uomo normale non si sveglia al mattino e decide di fare quello che ha fatto lui, in negozio e in pieno giorno».
«Posso dirvi con certezza che mio marito non era più lui, e che non lo era più da un pezzo. Me ne accorgevo ogni giorno, quando rientrava in casa la sera, quando usciva al mattino. L'Alberto che ho sposato io, il mio Alberto, non avrebbe mai fatto quello che ha fatto». Daniela Arrighi parla anche delle ore successive alla sentenza, e degli stati d'animo del marito: «È ovviamente distrutto, per una condanna che ritiene ingiusta. Ma è un uomo coraggioso, che continua a vivere la sua vita in carcere. Sabato è andato regolarmente a lavorare al centro stampa del Bassone, domani (oggi, ndr)lo incontrerò. In questi giorni ho letto e sentito di tutto, ma non è vero che è stato ricoverato in infermeria... Alberto sta seguendo il suo percorso - continua la moglie, fiume in piena -. Il pentimento è un fatto intimo, lungo una strada che appartiene soltanto a lui. Nella lettera che mia figlia ha voluto indirizzare al giudice, c'è un passaggio che dice moltissimo di questa vicenda. La bambina ricorda la prima volta che andò a trovare suo padre al Bassone. Papà le disse che là dentro, in una cella, per lui era un incubo, ma disse anche di preferire quello all'incubo di prima. Quelle parole ci resteranno dentro per sempre, a me, come alle mie figlie».

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