Il parco dei sogni c'è già
Ma nessuno ci può entrare

Al San Martino di Como i volontari coltivano, mappano le essenze e recuperano i sentieri. C'è il problema di sorvegliare 340mila metri quadrati. A Mendrisio ci sono riusciti

COMO Metti un parco di oltre 300mila metri quadri, con fiori coloratissimi e maestosi alberi ultracentenari, un frutteto, un pratone dove i bambini possono correre a perdifiato mentre i genitori si riposano nell'erba, persino una grande fontana per concedersi un attimo di refrigerio e una caratteristica chiesetta che invita alla riflessione. Tutto questo c'è già e lo si può raggiungere in meno di dieci minuti a piedi dal centro di Como. Aspettate, però, a segnarvelo come meta per l'escursione familiare della prossima domenica. Abbiamo tralasciato un piccolo dettaglio: non si può entrare, a meno che non abbiate un appuntamento con il dietologo, piuttosto che con il medico sportivo, due dei servizi sanitari che hanno trovato spazio nell'ex ospedale psichiatrico. Nell'attesa, ormai ultradecennale, di un progetto di recupero complessivo.
E mentre si aspetta che la politica faccia, finalmente, la sua parte, dando una nuova identità al San Martino, alcune associazioni, in collaborazione con il dipartimento di Salute mentale dell'ospedale Sant'Anna, stanno salvando il salvabile, cioè gli straordinari spazi verdi e la memoria del luogo. Spingendo l'idea, anche attraverso l'organizzazione di feste tematiche che periodicamente consentono di aprire questo scrigno alla cittadinanza, di cominciare a restituire ai comaschi una parte di questo compendio, che nessun futuro progetto dovrà violare: il parco, per l'appunto.
Risalendo il vialone centrale, cominciano a notarsi i frutti di questo lavoro (anzi, di questo volontariato). Un cartellino, con l'indicazione della specie botanica «Cedrus deodara», identifica la monumentale conifera che accoglie il visitatore. Alle sue spalle spunta una grande fontana (senz'acqua, però) circondata di fiori rosa-fucsia: si tratta di «Bergenia ciliata», come ci rende edotti un altro cartellino. «Dopo la mappatura e il censimento fitosanitario delle zona centrale, abbiamo proceduto alla cartellinatura delle essenze più interessanti botanicamente - racconta Luisella Monti della Società ortofloricola comense -. Abbiamo anche riportato alla luce la storica fontana oramai ricoperta dalla vegetazione. Mentre, purtroppo, non siamo riusciti a recuperare un vialetto di bosso molto vecchio che collega il viale di accesso con il padiglione centrale perché, qualche giorno prima del nostro intervento, ignoti hanno pensato bene di stendere al suolo gli esemplari schiacciandoli sotto i piedi». «Purtroppo - aggiunge Monti - il sito è alla mercé di tutti e gli interventi sporadici non possono salvaguardare un patrimonio che, lasciato a sé stesso, va perduto».
Anche le altre associazioni che cercano di salvaguardare quest'area si sono scontrate, prima o poi, con il problema della sicurezza. «Un notte sonno entrati a rubarci due caprette e gli attrezzi per il giardinaggio», racconta Mario Pettinato, 75 anni, che assieme a un altro pensionato del Gruppo Seniores ha avuto in comodato d'uso dall'azienda ospedaliera un'area recintata, per metà adibita a frutteto e per metà ad orto. «Questi alberi danno albicocche, pere, fichi e noci. E nell'orto coltiviamo un po' di tutto, dall'insalata ai fagiolini. Meglio che passare il tempo al bar, non vi pare?», sorride, mentre tiene in braccio una delle tre caprette "supestiti". 
Il responsabile di un'altra associazione, la sezione di Como del Gisom (Gruppo italiano di soccorso dell'Ordine di Malta), che nel parco del San Martino ha addirittura la sede, è anche il capo della sicurezza dell'azienda ospedaliera Sant'Anna. «È difficile controllare un'area così vasta», afferma Alberto Quadrio. Ma preferisce parlare di quello che fa come volontario: «Potiamo le siepi, curiamo il pratone e una volta al mese facciamo dire messa nella chiesetta». Un altro volontario, Mario Civati dell'associazione Luoghi non comuni, che del San Martino conserva anche i ricordi agghiaccianti di due ricoveri lampo nel '61 e nel '73, dice che il sabato e la domenica è facile vedere qualcuno che viene a fare jogging a portare a spasso i nipotini. «E molti - aggiunge - vorrebbero che almeno la domenica mattina fossero celebrate delle messe nella chiesetta, che invece è sempre chiusa». Per ora non verranno accontentati. Anzi, è già molto che siano riusciti a fare una passeggiata nel parco. «Li tolleriamo - precisa Quadrio - perché adoperiamo il buon senso. Ma questo luogo non è aperto al pubblico».
Questa chiusura è il nuovo muro contro cui si batte Mauro Fogliaresi, presidente dell'associazione Luoghi non comuni, che ha accompagnato la conversione dell'ex manicomio dal 1996 in poi. «Abbiamo organizzato quattro concerti con Davide Van De Sfroos - ricorda -, che hanno visto partecipare migliaia di persone, la proiezione del film "La seconda ombra" e, con le altre associazioni, feste con gli asinelli e persino con le mongolfiere. Ogni volta bisogna chiedere i permessi e non sempre è facile ottenerli». Con la prossima iniziativa punta a dare la "sveglia" a Como, spronandola a seguire un esempio vicino: «Faremo un gemellaggio con Mendrisio, dove il compendio dell'ex clinica psichiatrica è già un parco urbano, con punti di ristoro e atelier». Vorrebbe riproporre al San Martino qualcosa di simile, assieme all'Ortofloricola e a Iubilantes, associazione che già sta predisponendo una serie di cartelli sulla storia del manicomio, per una mostra permanente. Per ora, ci si deve accontentare del «Bosco delle parole dimenticate». Il betulleto dove gli ultimi degenti, stimolati dal poeta Vito Trombetta, incisero su pezzi di legno la loro "eredità culturale". Intuizioni che, sopravvissute ad alcuni episodi vandalici, ancora illuminano il passante: «Dio esagera col silenzio».
Pietro Berra

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