Due cunei sotto la porta e un cartello
Così volevano rapinare la gioielleria

Usavano un paio di cunei per bloccare le porte, esponevano in vetrina la scritta «Torno subito» per non destare sospetti in chi avesse tentato di entrare, ammanettavano il proprietario e gli svaligiavano il negozio. Agivano così da mesi i tre malviventi fermati sabato mattina a Ponte Chiasso.

COMO Usavano un paio di cunei per bloccare le porte, esponevano in vetrina la scritta «Torno subito» per non destare sospetti in chi avesse tentato di entrare, ammanettavano il proprietario e gli svaligiavano il negozio. Agivano così da mesi i tre malviventi fermati sabato mattina a Ponte Chiasso un attimo prima di rapinare la gioielleria di Domenico Fasana, in via Bellinzona, a un passo dal confine di Stato. Icarabinieri gli stavano addosso dallo scorso 11 febbraio - data di un colpo andato a segno a Cerea, nel Veronese - ma in realtà tra il 2010 e il 2011 di rapine ne avevano messe a segno diverse, racimolando refurtiva per oltre 300mila euro. A Podenzano, per esempio, in provincia di Piacenza, oppure a Belgioioso (Pavia) nel 2010, a Forlì, a Desenzano. Gli arrestati sono Massimo Bernardinello, 39 anni, Vincenzo Antonelli, 47, entrambi residenti a Vigevano, e Anton Nikolli, 30 anni, cittadino albanese con residenza in Grecia che, a quanto pare, veniva in Italia solo per affiancare gli altri due durante le rapine. Del resto doveva valerne la pena. Usavano sempre lo stesso sistema, abbozzato anche sabato a Ponte Chiasso. Sceglievano l'obiettivo, lo sorvegliavano poi entravano in azione: si muoveva per primo Bernardinello, che si presentava in negozio e faceva qualche acquisto, magari ripresentandosi più volte per conquistarsi la fiducia del gioielliere. Da Fasana, per esempio, aveva acquistato già una catenina del valore di 500 euro poi, sabato, entrato nuovamente prima della rapina, aveva raccontato che di lì a poco lo avrebbe raggiunto un amico (il Nikolli) per acquistare un gioiellino per la fidanzata. In realtà il piano prevedeva che, mentre Antonelli aspettava fuori con il motore accesso di un'auto generalmente rubata (qui avevano una Fiat Uno fatta sparire pochi giorni prima da Como e posteggiata all'incrocio con via Catenazzi), gli altri due avrebbero infilato i cunei sotto le porte, ammanettato il gioielliere puntandogli la pistola sotto il naso e iniziato a svuotargli il negozio. Sarebbe andata così davvero, se non fossero intervenuti i carabinieri, quelli del nucleo operativo di Como e i loro colleghi di Verona e della compagnia di Legnago, cui si deve l'indagine avviata a febbraio dopo il colpo di Cerea, quando il negoziante di turno fu anche malmenato. Da allora li seguivano, li pedinavano, li intercettavano. Non li avessero bloccati qui, avrebbero probabilmente avuto una nuova occasione a Lecco e a Perugia dove, a quanto pare, i tre avevano già organizzato un paio di trasferte. Erano semi incensurati. Circostanza che consentiva loro di entrare nei negozi a volto scoperto. Quand'anche qualcuno li avesse fotografati o filmati, carabinieri e polizia non avrebbero potuto confrontare i loro volti con nessuno.
Stefano Ferrari

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