"Ho aiutato mio marito
Non avevo altra scelta"

La moglie dell'armiere Arrighi: «Di fronte a un omicidio, a un omicidio del genere, si finisce per perdere lucidità. Rispetto il pensiero del giudice, ma non condivido una virgola di ciò che è scritto in quella sentenza. Sfido qualunque donna, qualunque moglie a dimostrarmi che sarebbe riuscita a fare diversamente, che sarebbe riuscita ad abbandonare il proprio compagno, il padre dei propri figli, a lasciarlo solo»

COMO «Rispetto il pensiero del giudice, ma non condivido una virgola di ciò che è scritto in quella sentenza. A me stessa rimprovero soltanto di non avere avuto il sangue freddo necessario per ragionare subito su quello che era accaduto, ma sfido qualunque donna, qualunque moglie a dimostrarmi che sarebbe riuscita a fare diversamente, che sarebbe riuscita ad abbandonare il proprio compagno, il padre dei propri figli, a lasciarlo solo. Quella mattina, in negozio, il giorno dopo la morte di Brambilla, ho agito d'istinto, cercando di aiutare Alberto. Di fronte a un omicidio, a un omicidio del genere, si finisce per perdere lucidità...».
Daniela La Rosa, moglie di Alberto Arrighi, scorre velocemente gli articoli di giornale che riguardano le motivazioni della sentenza di condanna a trent'anni inflitti al marito. Non sopporta, dice, l'idea che il padre delle sue figlie sia accusato di avere impugnato una pistola per soldi: «Mio marito sparò in preda a un raptus, sbocco naturale di mesi di sofferenza. Un uomo come Alberto, nel pieno delle sue facoltà mentali non avrebbe mai commesso un gesto del genere».
Il giudice cita anche la casa di Argegno, un piccolo appartamento acquistato per poco più di 300mila euro nell'estate del 2009: il sospetto del tribunale è che nell'operazione fosse confluita una parte della somma (89 mila euro, ma c'è anche chi parla di cifre maggiori) che Brambilla aveva prestato ad Arrighi per risollevare le sorti della sua attività: «E invece - dice Daniela Arrighi - la casa di Argegno era stata acquistata ben prima di quel prestito. La avevamo comperata (nel frattempo è stata anche venduta, ndr) accendendo due mutui, che peraltro ho continuato a pagare, e chiedendo un aiuto a mio padre. Erano soltanto soldi nostri, miei, della mia famiglia e di nessun altro».
Stefano Ferrari

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