Le carte del caso escort:
cosa accadeva nel residence

Il giudice: «La proprietaria di casa? Sapeva quello che succedeva»

COMO - «Scrivo questa lettera a tutti voi carissimi lettori, a tutti coloro che per un attimo hanno creduto che mio padre, arrestato con l'accusa di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, sia un delinquente. Scrivo per rendere giustizia a mio padre, un uomo innocente». Comincia così la lettera che la figlia dell'uomo finito in carcere la scorsa settimana con l'accusa di essersi prestato ad agevolare un giro di prostituzione in un residence di via Carso, indirizza a La Provincia per difendere pubblicamente il padre, «un vero padre, un vero educatore».
La lettera arriva all'indomani della scarcerazione dell'uomo e della proprietaria degli appartamenti di via Carso. Il contesto è quello di una indagine che aveva subito suscitato clamore e stupore, sia per il fatto che in via Carso la prostituzione fosse, letteralmente di casa, sia per i nomi dei coinvolti, considerati, a torto o a ragione, contribuenti al di sopra d'ogni sospetto.
E allora ecco cosa scrive il giudice nella ordinanza con cui ai due indagati sono stati concessi gli arresti domiciliari, ritenendo che comunque non sussistessero più rischi di compromissione delle prove:«In sede di interrogatorio l'indagata ha scientemente riferito il falso negando ogni addebito (...) Rilievo determinante hanno assunto, infatti, le dichiarazioni delle inquiline e delle ospiti delle inquiline di alcuni degli appartamenti (...) Non poche di esse hanno ribadito che i proprietari degli immobili (...) erano da sempre perfettamente consapevoli dell'attività che in questi appartamenti le inquiline e le loro ospiti svolgevano». Il giudice deve precisarlo perché la piena contezza dell'utilizzo dei locali da parte dell'affittuario basta di per sé a configurare un reato. La legge Merlin, legge ormai quasi proverbiale con cui nel dopoguerra furono chiuse per sempre le case di tolleranza, dice che per essere denunciati basta «favorire - ed è un altro passaggio che il giudice Luisa Lo Gatto cita nel suo provvedimento - la sostanziale apertura di una casa di prostituzione attraverso la locazione di immobili che si sa saranno destinati all'attività di prostituzione da parte di più prostitute contestualmente».
«Questo - aggiunge il tribunale - è accaduto per un evidente interesse economico dell'indagata che in tal modo, in un periodo di crisi del mercato immobiliare degli affitti, è riuscita ad assicurarsi una turnazione quasi costante di inquiline». Quel che non può contestarsi ai due indagati è invece lo sfruttamento vero e proprio, lo sfruttamento diretto delle ragazze; ancora il giudice: «Nulla consente allo stato di ritenere sussistenti anche gli indizi dell'ulteriore reato di sfruttamento della prostituzione non essendo emersi (...)elementi da cui inferire che l'indagata abbia in qualche modo partecipato in termini parassitari ai guadagni o alle diverse utilità ricavate dall'esercizio della prostituzione, percependo dalle inquiline che si prostituivano guadagni superiori rispetto a quelli corrispondenti al valore dei servizi resi». Insomma, domiciliari per entrambi, che hanno potuto fare ritorno a casa, dove resteranno in attesa della conclusione di una indagine che sembra già molto vicina a completarsi.

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