Cantù, il saluto del preside Silva
"Apro il mio cassetto dei ricordi"

Va in pensione lo storico responsabile del liceo Fermi. Tanti i ricordi: la giornata più brutta fu quando nel 1989 cadde il muro della palestra e rimasero ferite nove ragazze. Quello più bello due anni fa, con il riconoscimento del liceo Classico. "Ora mi occuperò di più del Club Tenco".

CANTU' Il suo primo giorno di scuola dall'altra parte della cattedra, come professore di filosofia, risale al 1969, classe 3 E del classico Manzoni di Milano. La madre, per l'occasione, s'era tanto raccomandata, «va vistì ben» e mettiti la cravatta. Fatto, e la conserva ancora. In classe, per sciogliere l'emozione, il tono confidenziale con gli studenti praticamente suoi coetanei e l'invito a non sentirsi imbarazzati se qualche volta scappa di darsi del tu. «Perché, pirla – la risposta beffarda dal primo banco – pensavi che ti davamo del lei?». Da quel giorno, racconta ridendo forte Antonio Silva, che ieri ha vissuto il suo ultimo ultimo giorno di scuola prima delle pensione, la cravatta non l'ha mai più messa. Al massimo il papillon, ai matrimoni. Di anni ne sono passati parecchi, e gli ultimi 22 li ha passati al liceo scientifico Fermi di Cantù, seduto sulla poltrona del dirigente scolastico, come si dice oggi. Seduto per modo di dire, visto che Silva è rimasto sul serio un preside senza cravatta. E non è un appunto di stile al suo abbigliamento. Diviso con identica passione tra l'istituto di via Papa Giovanni XXIII – il migliore del Lombardo veneto, la dicitura di suo conio ormai ufficiale – e una manciata di giorni l'anno sulle tavole del palcoscenico del Premio Tenco, rassegna di canzone d'autore che presenta ininterrottamente dal 1976. Lettere e note, le sue passioni. Amato da generazioni di studenti e docenti che si sono succedute, guardato un po' più di sguincio dai tutori dell'ortodossia. Rispettato da tutti, però. Dici poco. Per questo ieri, ultima mattina in cui è arrivato in tempo per sentire la prima campanella, anche se la burocrazia dice che resterà al Fermi fino al 30 agosto, sono passati in tanti a salutarlo. Chi ha chiamato, chi è arrivato nei giorni scorsi, chi si faticava a riconoscere, che da ragazzino felice per aver chiuso la maturità s'è fatto un adulto. Nel suo ufficio, tra le foto alle pareti – il Tenco non manca – e il tappetino del mouse con la faccia di Che Guevara, o squilla il telefono o bussano alla porta.
Il primo giorno da professore, quindi, è stato di quelli che segnano. E il primo giorno a Cantù, nel 1989?
«Al Fermi ero stato l'anno prima, perché mi mandarono qui come presidente della commissione di maturità. Arrivavo dal Peano di Cinisello Balsamo, e vidi questa scuola nuovissima, bella. Mancava solo il preside, e feci domanda per venire trasferito qui, dove approdai l'anno dopo»
Quale fu il primo impatto?
«Mi venne incontro una delegazione di genitori che mi accolse chiedendomi di intervenire per risolvere una certa situazione con un insegnante. Insegnante che è ancora oggi uno dei miei collaboratori più fidati».
Risolta con successo, quindi. Destino cattivo, però, perché poco dopo il suo arrivo, il 1 dicembre, crollò una parete della palestra e nove ragazze rimasero ferite, alcune in modo molto grave, con la città intera sotto choc. Il suo giorno più brutto di questi 22 anni, s'immagina.
«Me lo ricordo ancora nitidamente. Ero in sala professori e stavo correggendo una versione. All'improvviso arrivò di corsa Vito, il bidello, trafelato, e mi disse “Sono tutti morti”. Io mi precipitai in palestra, c'era un silenzio assoluto e terribile, il muro crollato, le ragazze sotto le macerie. Per un attimo ebbi davvero la sensazione che fossero morte»
Per fortuna non fu così. Scoprirlo sarà stata una gioia che non si supera. Ma quale è stato il giorno più felice di questo ventennio e spiccioli, invece?
«Sono stati davvero tantissimi. Dal punto di vista professionale dico l'apertura del liceo classico, due anni fa. Un obiettivo che ha richiesto vent'anni d'impegno, di richieste al Provveditorato. Ma la conferma che fosse la scelta giusta è data dall'andamento delle iscrizioni e dai risultati dei ragazzi. E poi è stato bellissimo ogni volta che nostri studenti hanno rappresentato la scuola in Italia o persino a livello mondiale, alle olimpiadi della fisica o della matematica».
I suoi primi studenti, quelli del 1969, sono volti in bianco e nero lontani davvero. Ma anche i ragazzi che oggi la saluteranno durate la festa della scuola sono diversi dai loro fratelli maggiori, quelli che incontrò nel 1989?
«Certamente sono cambiati nel comportamento, negli atteggiamenti. Ma credo ci sia una costante che non è mai venuta meno. Chi approda al Fermi è ancora convinto nel valore dello studio. E studiano perché ci credono davvero».
E lei com'è cambiato, invece?
«Mha…sono solo diventato vecchio. Di sicuro vorrei che si dicesse che sono diventato più tollerante. In passato qualche volta sono stato imparziale, ho cercato di imporre la mia volontà. Oggi non lo faccio più».
Studiano, vincono premi, e salutano la fine dell'anno scolastico con un concerto rock. Colpa o merito di un preside come Antonio Silva?
«Sono stato tormentato per tutta la vita da questo problema. Mi sono trovato spesso a dover far capire che essere serio e far bene il proprio lavoro non significa essere necessariamente musoni. Ma qualcuno ha sempre preferito confondere l'essere gioviale con l'essere superficiale».
A occhio è riuscito a smentirli.
«Certo – ride -  Perché ho una cultura strepitosa e una modestia indicibile».
E adesso, con tutto questo tempo libero cosa farà?
«A essere sinceri è la prima volta che vado in pensione, quindi non saprei. Mi occuperò con ancora maggior attenzione del Club Tenco e della musica. E poi sono un forte lettore, ho già una pila di libri alta così che mi aspetta».
C'è un problema però: chi farà adesso il discorso introduttivo ai genitori il primo giorno di scuola, che tra aneddoti, battute e canzoni è roba da far pagare il biglietto?
«In effetti quello era forse il momento più bello dell'anno. So che è stato realizzato un video: probabilmente manderanno in onda quello».
E giù con un'altra risata, un po' bauscia e – stavolta – un po' commossa.

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