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Giovedì 14 Luglio 2011
Don Virginio Colmegna
da Saronno per gli ultimi
Il presidente della Casa della Carita' si racconta nell'autobiografia Non per me solo
Una vocazione nata in famiglia e all'oratorio. Una città, Saronno, cui don Virginio è profondamente legato: «Devo molto alla comunità parrocchiale che mi ha instradato sul cammino della fede; al vecchio oratorio di via Legnani fucina d'intense esperienze umane, dove sono stato educato alla religione e alla gioia di vivere».
Anche oggi, don Virginio, torna spesso a Saronno per ritrovare parenti e amici.
E per far visita al cimitero ai genitori: «Sono state figure fondamentali, sostenendomi in ogni momento di difficoltà con la loro religiosità discreta e buona, con un amore che davvero non ha conosciuto confini».
Grazie al supporto di Erminio De Scalzi, allora giovane seminarista, l'adolescente Virginio s'iscrive da privatista al ginnasio e in soli cinque mesi prepara gli esami. Frequenta l'intero percorso del liceo presso il seminario di Venegono Inferiore, dove torna per approfondire gli studi teologici, dopo dodici mesi trascorsi a Saranno per l'anno propedeutico. Ricorda con gratitudine quegli anni: «Il seminario mi ha formato anche negli ostacoli che ho incontrato: non lo nascondo, è sempre stata una fatica abituarmi a ritmi programmati e vincolanti. Tuttavia serbo un grande debito di riconoscenza per gli studi sulla Bibbia, per la conoscenza della filosofia, per l'educazione alla preghiera».
Don Virginio Colmegna ordinato nel giugno del 1969, celebra la sua prima messa nella chiesa di Saronno ed è pronto a rendere la sua missione "una tensione spirituale che aggredisce la vita e la cambia in profondità". È destinato alla parrocchia di Santa Maria del Buon Consiglio, zona Bovisa, nel pieno vortice del '68. Erano gli anni caldi della contestazione. Nelle sue prediche come nelle azioni che lo coinvolgono, don Virginio decide di stare nel mezzo di quel movimento; di ascoltare e rimanere vicino alle persone per affrontare gli elementi di rivendicazioni, di protesta, di advocacy. Vuole dare voce a chi non ha voce, ma senza dimenticare «il riferimento al Vangelo e il valore rappresentato da ogni singola persona, da ogni volto, da ogni storia». Questa bussola gli permette di non consegnarsi mai a un'ideologia che utilizzi i poveri strumentalmente. Nemmeno quando la lotta per le abitazioni nel contesto sociale assume toni molto conflittuali e si vede occupare l'oratorio per più giorni: «La polizia era intervenuta energicamente mentre la povera gente, privata di una casa, chiedeva un riparo.
I militanti convocavano le assemblee e mi accorgevo che chi le organizzava non aveva alcun interesse a risolvere il problema; voleva solo gestire quelle famiglie come massa di manovra, come mero "oggetto politico". Per questa ragione ho sempre rifiutato qualsiasi visione di strumentalizzazione ideologica». Era il 1976 e dopo quell'episodio il prete saronnese viene mandato al monastero di Praglia. Non era una punizione, bensì «l'occasione di una riscoperta interiore della gioia di essere prete, di andare avanti affrontando tutte le contraddizioni». Una convinzione accompagna don Virginio: appartenere a una Chiesa vicino ai poveri che rende pratico e concreto il respiro conciliare. Non è mai prevalsa in lui la tentazione di fare il prete del dissenso, nemmeno in quei giorni trascorsi in abbazia. Una convinzione che diventa certezza qualche anno più tardi, quando il Cardinal Martini lo richiama per affidargli la guida della Caritas ambrosiana prima, e della Casa della Carità poi. «Ho scoperto che le gerarchie, che noi giovani volevamo scardinare, contengono germi per la costruzione di strutture buone, di relazioni giuste, di esercizi solidali di responsabilità».
Il ritorno a Milano è dunque segnato dall'aprirsi di una nuova pastorale della carità. Un impegno che continua tuttora. La povertà ha molteplici volti e incrocia spesso gli occhi di don Virginio impegnato, insieme a tanti collaboratori e volontari, a edificare un'accademia della carità fatta di accoglienza, ma anche di saperi e competenze che superino un semplice, distaccato assistenzialismo. Gli occhi di un prete affascinato dall'amore di Dio che quotidianamente ammira riflesso nei poveri, perché «loro sono un autentico luogo teologico».
Alberto Galimberti
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