11 settembre 2001, dieci anni dopo
Il ricordo dei comaschi

Al lavoro, in auto. Vite normali sconvolte dalle immagini tv delle torri gemelle che crollavano, la gente che precipitava. Dieci anni dopo, il ricordo dei comaschi del giorno che ha cambiato il mondo

COMO Chi era in casa, chi in ufficio, chi ha capito subito che la situazione era gravissima, chi, invece, ha impiegato qualche istante per realizzare che tutto quello che stava vedendo era reale. Alla redazione de La Provincia era una giornata come tante altre prima che tutto si paralizzasse di fronte ai televisori.

Abbiamo chiesto ai comaschi di raccontarci i loro ricordi, dove erano, cosa stavano facendo l'11 settembre del 2001, per condividere un'esperienza collettiva che ha cambiato la vita di tutti. C'è chi era un adolescente al suo primo giorno di liceo, come Philip Di Salvo: «Ricevo una telefonata di un'amica che mi avvisa di accendere la televisione. Ricordo la mia domanda che oggi suona inutile, superata, da XX secolo: 'Che canale?'. Ricordo la sua risposta, ferma ma impensabile in quel 2001 all'altezza del quale, nella nostra memoria di adolescenti, nessun evento aveva mai fermato tutte le reti disponibili: 'Uno qualsiasi'».

Lucia era una studentessa di Storia dell'arte che cercava disperatamente un libro di testo per un esame: «Ero sul ponte di Melide e, via telefono, non avevo capito la gravità della cosa. Gridavo: "Il problema è che non trovo un libro su Giacometti!». Una coppia in vacanza in Grecia che apprende la notizia da una donna anziana che piange, perché il figlio è in America, chi, come Franco Parravicini, musicista, era al lavoro in sala di registrazione: «Arriva in studio mio nipote: 'Sta succedendo qualcosa a New York...'. Saliamo in casa di mia madre che guardava la televisione: 'L'è la fin del mund!', ripeteva...». Momenti molto personali, come quello di Lia: «Il mio ricordo dell'11 settembre ha la voce di mia nonna. Stavo lavorando quando lei mi ha chiamato per avvisarmi con poche parole tra l'apprensione e la confusione: torri, aerei, morti... Dopo ti aspetto per cena vero? Voleva rassicurarmi, ma forse ancora di più attaccarsi a qualcosa di normale e familiare, allontanare i ricordi della guerra conosciuta da giovane. A tavola era silenziosa davanti alle immagini degli schianti e del fumo che a ripetizione continuavano a passare su tutti i canali».
Lohana Sartori era in catena di montaggio, ad Albese, e il lavoro si è interrotto all'improvviso. Dopo, a casa, le immagini: «Le persone che si buttano, preferendo un ultimo disperato salto nel vuoto alla prospettiva di morire asfissiati, bruciati o sotto le macerie. Guardo la gente volare. L'avrei fatto anch'io». Viviana compiva trent'anni e ci era stata, al World trade center: «Riaffiora il ricordo della salita con gli ascensori su fino all'osservatorio. Alle immagini del disastro si sovrappongono quelle dei ricordi, i volti delle persone che vi lavoravano, i commessi dei negozi, gli addetti alla reception e ai controlli perché sì, per entrare e arrivare fino all'osservatorio ti controllavano più volte, prima all'entrata, poi a un piano intermedio dove si fermava il primo ascensore. A ogni controllo zaini aperti, metal detector: a noi erano parsi eccessivi tutti quei controlli per farci salire, sopra Manhattan,  sopra a tutto e tutti, e invece...».
Alessio Brunialti

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