La morte di Bonatti
e le polemiche sul K2

C'erano voluti cinquant'anni per ristabilire la verità dell'ascesa e cancellare le infamie. Ascolta la sua intervista a Fabio Fazio, tratta da You Tube

 «Quello che riportai dal K2 fu soprattutto un grosso fardello di esperienze personali negative, direi fin troppo crude per i miei giovani anni». Lo scriveva nel 1961 Walter Bonatti nel suo primo libro, "Le mie montagne", accendendo il caso K2 che per molti anni occupò le prime pagine dei giornali.

La spedizione italiana alla seconda montagna più alta del mondo si era conclusa con un successo: il 31 luglio del 1954 Achille Compagnoni e Lino Lacedelli furono i primi a posare il piede sulla vetta. Rimbalzata pochi giorni dopo in Italia, la notizia destò grande clamore. Della spedizione - guidata da Ardito Desio - faceva parte anche Bonatti, il più giovane tra gli scalatori e astro nascente dell'alpinismo nazionale. Dopo numerosi giorni di lavoro per allestire i campi in quota, il 30 luglio scese dal campo 8 al campo 7 per recuperare le bombole di ossigeno destinate all'attacco finale alla vetta.

Compagnoni e Lacedelli erano più in alto, impegnati ad allestire il campo 9. Bonatti e l'hunza Mahdi risalirono i pendii del K2 confidando di ricongiungersi ai compagni e di trascorrere la notte assieme. Giunti sul luogo dove era previsto il campo (a 8.100 metri, nella zona denominata 'collo di bottiglià) non trovarono nessuno e, impossibilitati a proseguire, trascorsero la notte all'addiaccio, in una buca, con temperature intorno ai -50 gradi. Solo la mattina, miracolosamente vivi e con principi di congelamento, riuscirono a scendere a valle mentre Compagnoni e Lacedelli, recuperate le bombole, si avviavano verso la vetta. La relazione ufficiale della spedizione, basata sui resoconti di Desio e avallata dal Cai, definì i ruoli di ciascuno nell'impresa.

Pur convinto che il suo contributo fosse stato sminuito, Bonatti non alimentò le polemiche e attese invano un chiarimento privato con i compagni. Il caso scoppiò nel 1964 a seguito di un articolo pubblicato sulla Nuova Gazzetta del Popolo in cui si accusava il giovane alpinista di aver tentato di raggiungere la vetta insieme a Mahdi (a cui aveva offerto del denaro), superando i compagni e privandoli dell'ossigeno loro destinato. E ancora: di aver rischiato di compromettere l'ascesa di Compagnoni e Lacedelli usando le bombole durante il bivacco notturno e di aver abbandonato Mahdi sulla parete la mattina dopo. Bonatti chiese ed ottenne - attraverso le vie giudiziarie - una rettifica (oltre a un risarcimento devoluto in beneficienza), e decise di raccontare la sua versione.

Sul caso scrisse tre libri tra il 1985 e il 2003. A "puntellare" la tesi di Bonatti fu una foto sulla vetta, pubblicata da una rivista svizzera, in cui si notava che le bombole erano state usate fino in cima. Poi, nel 2004, il Cai nominò una commissione di saggi - su pressione del mondo alpinistico - per un'analisi storica e storiografica dei fatti. La relazione finale, nel 2007, diede ragione a Bonatti e chiuse definitivamente il caso. «A 53 anni dalla conquista del K2 - dichiarò Bonatti in una lettera - sono state finalmente ripudiate le falsità e le scorrettezze contenute nei punti cruciali della versione ufficiale del capospedizione Ardito Desio. Si è così ristabilita, in tutta la sua totalità, la vera storia dell'accaduto in quell'impresa nei giorni della vittoria. Si è dato completa verità e dovuta dignità al grande successo italiano, una affermazione che ha saputo risvegliare, dopo gli anni bui, il vanto e l'orgoglio di tutti noi».

E Bonatti era venuto anche a Lecco per presentare il suo libro "K2 La verità": ad ascoltarlo moltissimi lecchesi, tra i quali il suo grande amico monsignor Roberto Busti, allora prevosto di Lecco e oggi vescovo di Mantova. Della vicenda aveva parlato anche con il conduttore televisivo Fabio Fazio nelal trasmissione "Che tempo che fa".

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