Limido, la mamma di Sami
"E' morto davanti a me"

Il racconto di Nadia Sakat: "Ho visto il suo sangue sul tappeto e ho capito. Non era mai stato in Marocco, lo riporto a casa in una bara"

LIMIDO COMASCO «È morto davanti ai miei occhi. Sami è caduto dalla sedia ed è finito con la testa contro la vetrinetta, tagliandosi il collo con il vetro: non ha detto nulla, non ha nemmeno gridato, ho visto il sangue del suo cuore sul tappeto e ho capito».

Nadia Sakat, 26 anni, sdraiata sul divano nella casa di amici che la ospitano, racconta i terribili istanti dell'incidente domestico in cui ha perso la vita il figlio di sedici mesi. Nadia, nonostante il dolore, è lucida e, parlando un italiano corretto, con la mente passa in rassegna quei momenti: «Eravamo tutti in casa, mio figlio più grande era al computer, mio marito era in camera e io dovevo cambiare il pannolino a Sami quando è salito da solo su quella sedia ed è improvvisamente caduto. Ho sentito un rumore e mi sono girata di scatto, la sedia a terra e lui ferito che con la testa aveva frantumato la vetrinetta. Abbiamo cercato di bloccare il sangue, mio marito gli premeva la mano sul collo: abbiamo chiamato l'ambulanza, ma è stato tutto inutile. Suo fratello continuava a dire che Sami era morto, che era uscito tutto il sangue, ma io gli dicevo di no, che respirava ancora».

Il trasporto in ospedale al Niguarda di Milano con l'elicottero del 118 ma, purtroppo, è stato purtroppo tutto inutile: il cuore del piccolo Sami ha smesso di battere pochi minuti dopo il ricovero.
«Mio figlio era proprio un bel bambino - continua il suo ricordo la mamma - Lo dicevano tutti quando lo vedevano, anche il nostro medico curante: pesava 14 chili ed era vivace. Era un bimbo molto affettuoso, mi chiamava "Nana" e si addormentava solo quando mi veniva in braccio e lo coccolavo. Non era mai stato in Marocco, i nonni non lo hanno neppure conosciuto e ora lo devo riportare a casa per seppellirlo. Tutto questo è ingiusto».
La famiglia Smakh abita da sei anni a Limido Comasco, papà Abdelghafour lavora a Gerenzano come muratore, mamma Nadia è casalinga e hanno due figli, Yassir di sei anni (che frequenta la prima elementare nella scuola del paese) e il più piccolo, Sami, di un anno e mezzo. L'altra sera il padre, per la tensione, ha anche accusato un malore ma ieri si è ripreso e, insieme al fratello che abita a Gerenzano, è andato al consolato marocchino a Milano per organizzare l'espatrio della bara con destinazione l'aeroporto di Casablanca.

«Il mio Sami verrà seppellito nel nostro paese a Bani Mallal - racconta infine la mamma che dice che non vuole più rientrare nella loro casa nella corte di via Mazzini - Non riesco a guardare i suoi giochi, i suoi vestitini: non ce la faccio proprio a vedere quel tappeto sporco del suo sangue. Il mio grande dispiacere è riportarlo a casa in Marocco chiuso in una bara, un dolore immenso».

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