L'avvocato confessa
«I boss a casa mia»

Nuovo blitz contro la 'ndrangheta in Lombardia: in cella tre finanzieri. E il legale comasco arrestato lo scorso dicembre ricorda la valigetta con i soldi che i clan dovevano consegnare alle fiamme gialle

COMO «Ora ho lasciato Nic...» dice, al telefono con il presunto boss della 'ndrangheta Giulio Lampada, il consigliere regionale calabrese Franco Morelli.
«Ti sento male...»
«Ora ho lasciato Nic, io!».
Nic, l'informatore. Nic, l'amico al quale poter chiedere notizie utili da trasmettere agli amici dei clan. Ma chi è Nic? A ipotizzarlo, rispondendo in carcere alle domande dei magistrati della Dda, è l'avvocato comasco Vincenzo Minasi, arrestato lo scorso dicembre con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.

Collabora, Minasi. E agli inquirenti fornisce la legenda per interpretare conversazioni, intercettazioni ambientali, messaggi criptici o per dare un'identità a nome e soprannomi. Come quello di Nic.

«Morelli - racconta il legale con studio legale a Breccia e villetta a Fino Mornasco - mi disse che aveva delle buone entrature nei servizi segreti e mi fece il nome di Nicolò Pollari (lo 007 ex direttore del Sismi). L'incontro, se c'è stato ovviamente, con Pollari o qualcun altro dei servizi segreti è da collocare tra il dicembre 2009 e il gennaio 2010». Incontro per che cosa?

La nuova ondata di arresti, scatenata anche dalle dichiarazioni che l'avvocato Minasi ha fatto davanti al pm antimafia Ilda Bocassini, porta a galla un indegno mercato di informazioni (ovviamente riservate) sulle inchieste a carico dei clan. Mercato al quale, secondo l'accusa, hanno partecipato investigatori, un magistrato e, pare comprendere da quanto rivelato dall'inchiesta, pure 007. Nei guai anche tre uomini della Guardia di finanza in servizio a Milano, finiti in cella con l'accusa di aver intascato mazzette per allertare gli uomini dei clan Lampada e Valle, tenutari di una serie di videopoker truccati in quel di Milano, di imminenti controlli sulla regolarità delle macchinette mangiasoldi.

Così l'avvocato Minasi ricorda la distribuzione delle tangenti ai militari del disonore: «Una sera del dicembre 2009 Giulio e Francesco Lampada vennero a casa mia a Fino Mornasco. Quella sera scopro che avevano pagato 20mila euro al mese per due operatori della Guardia di finanza: prendevano 10mila euro a testa al mese per non fare i controlli (sui videopoker ndr). Aveva con sé una valigetta. Dovevano portarla alla caserma della finanza». All'interno i soldi per corrompere gli inquirenti che, secondo l'antimafia, erano a libro paga dei clan.

La 'ndrangheta, insomma, non è solo lupara e coppola. Ma mazzette, corruzione, amicizie pericolose.

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