Arrighi: «Dopo il delitto
Volevo uccidermi»

La confessione dell'armaiolo condannato a trent'anni per l'omicidio in centro: «Quella mattina ho preso la pistola e me la sono messa in bocca, ma non ho avuto il coraggio di premere il grilletto»

COMO «Quella mattina volevo suicidarmi. Ho preso la pistola e me la sono messa in bocca, ma non ho avuto il coraggio di premere il grilletto».
Lo ha raccontato Alberto Arrighi lunedì, durante l'udienza del processo d'appello a Milano, poco prima che il tribunale confermasse la condanna a trent'anni inflitta a Como in primo grado.

Arrighi, che già da qualche giorno aveva manifestato con i suoi avvocati l'intenzione di ammettere la premeditazione - sia pure "breve" e limitata alle ore appena precedenti all'omicidio - ha raccontato di avere nutrito propositi suicidi. Avrebbe voluto togliersi la vita, ma - ha detto - «non ho avuto il coraggio di farlo».

Nessun commento, ieri, dai suoi avvocati all'indomani del pronunciamento. Per chiarire se sussistano o meno margini per una impugnazione in Cassazione, bisognerà aspettare i canonici 60 giorni, termine entro il quale la corte d'Appello di Milano ha fissato il deposito della sentenza. La posizione di Arrighi, in ogni caso, è delicatissima. Se non dovesse ottenere riduzioni, e se riuscisse a usufruire degli sconti che derivano dalla buona condotta (di fatto tre mesi all'anno, mantenendo un comportamento integerrimo) raggiungerebbe la metà della pena non tra 15 - la metà aritmetica dei 30 - ma tra 11 anni e mezzo, che in realtà sono poi nove e mezzo, tenendo conto dei due già scontati in attesa di giudizio.

Il raggiungimento della metà della pena, coincide in genere con la possibilità di ottenere i primi mini permessi, per poter uscire qualche ora. La buona condotta, su una pena di trent'anni, gli garantirebbe uno sconto complessivo di sette anni e mezzo.

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