Choc dopo l'omicidio
a Lurago Marinone

Tragedia nella notte nel centro del paese. I carabinieri fermano un idraulico di 28 anni. La vittima è il padre, un muratore disoccupato; il ragazzo lo accusava di aver maltrattato per anni la madre

LURAGO MARINONE - Il portone è chiuso, ed è un peccato. Chi conosce questa casa dice che là, oltre l'ingresso, si nasconde una delle più belle corti della provincia. Ogni anno, ad agosto, quando si celebra la festa di San Valentino, da qui escono i buoi che trascinano il carro bardato a festa per il corteo che si svolge lungo le strade del paese.

L'altra notte, da questa corte, chiuso in una bara zincata, è uscito il cadavere di un uomo di 50 anni, Manuel Johny Venancio Dominguez Ramirez, un muratore peruviano, con il cuore aperto in due da una coltellata che suggella, a quanto pare, anni di litigi, angherie, violenze. Lo avrebbe ucciso suo figlio, Eder Jhonny Dominguez Cutipa, 28 anni, lui pure peruviano, in Italia da molto tempo, idraulico da circa un decennio in una piccola ditta di Fenegrò. Vive qui Eder, in piazza Roma, in un appartamento all'interno di questa antica casa contadina ristrutturata, di proprietà di Giovanni Battista Zaffaroni, 87 anni, conosciutissimo come Battistino.

In realtà ci sono diversi appartamenti, oltre a quello in cui vive l'anziano proprietario. Così tanti che fare ordine riesce difficile persino a chi ci abita accanto. Si sa che Eder è il figlio della badante di Battista, lei pure residente tra queste mura, al pari di un'altra figlia ventenne, cioè la sorella del presunto omicida, e al pari della moglie di quest'ultimo e della loro bimba, di soli tre anni.

L'unico che non abitava qui era il padre, Manuel, che domani sarebbe ripartito alla volta del Perù e che, a quanto pare, da poco era ospite dell'ex moglie e dei suoi figli. È difficile ricostruire come davvero siano andate le cose. Sul delitto indagano i carabinieri del Reparto operativo di Cantù, affiancati dai colleghi della stazione di Appiano Gentile. Secondo l'unica ricostruzione al momento disponibile, padre e figlio avrebbero bevuto molto, entrambi, e l'alcool avrebbe riacceso rancori vecchissimi, sciaguratamente incancreniti.

Eder accusava papà di avere sempre odiato la madre, di averla picchiata, di averla maltrattata per una vita, senza badare troppo né a lui, né a sua sorella, all'epoca ancora bambini. Un intreccio strano di rancori, emozioni e forse anche di qualche dissidio di natura economica.

«Non vogliamo parlare, non abbiamo niente da dire». Sono queste le uniche parole che filtrano dalla casa di Giovanni Battista Zaffaroni, il proprietario dell'appartamento di piazza Roma dove giovedì notte si è consumato l'omicidio. Incredulità e disperazione, e nessuna voglia di parlare; anche perché la madre del ragazzo, già portato al Bassone, lavora come badante proprio nella famiglia Zaffaroni, e ci lavora da anni.

Le bocche sono abbastanza cucite anche tra i conoscenti del giovane omicida.
Anche nella ditta di idraulica di Massimo Cimino, dove il giovane lavorava, non sanno darsi ragioni: «Eder era un bravissimo ragazzo, lavorava da noi da dieci anni e non abbiamo mai avuto un problema. Siamo completamente sconvolti perché proprio non ce lo aspettavamo, non ci sono mai stati segnali di disagio. Stamattina lo abbiamo scoperto dai parenti e siamo rimasti scioccati; non conoscevamo il padre e non posso dire niente su di lui, ma possiamo dirle con certezza che Eder non ha mai parlato né di problemi con lui, né di altri problemi in famiglia. Non sappiamo che altro dirle, non ci capacitiamo di quello che è accaduto».

«I peruviani? Laggiù, avanti cento metri a sinistra». Da queste parti quasi tutti conoscono la famiglia sudamericana ospitata negli appartamenti di Battista Zaffaroni.

La vedova, la mamma di quel ragazzo che da ieri mattina è chiuso in carcere con l'accusa di omicidio aggravato (dal vincolo di parentela), è in Italia da almeno 17 anni, e da tempo più o meno immemorabile - nel senso che qui non lo ricorda più nessuno - lavora come badante del proprietario di casa, 87 anni, mai sposato, nessun figlio. Di Zaffaroni si dice che, per tutti loro, sia come un padre.

Qui, del resto, a due passi dal municipio e dalla chiesa parrocchiale, il "Battistin", come lo chiamano in paese, è proprietario di diversi appartamenti, suddivisi tra i vari "rami" della famiglia della vittima e del suo carnefice.

Una pagina dedicata nell'edizione de La Provincia in edicola sabato 9 febbraio

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