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Mercoledì 01 Maggio 2013
A casa, precari o in fabbrica
Il Primo Maggio dei comaschi
Abbiamo raccolto tre voci di altrettante persone con differenti condizioni lavorative. Che tengono duro e spiegano perché
«Sono un insegnante delle scuole primarie - dice Pierluigi Presta, 36 anni - e da 12 anni lavoro con contratti annuali, con l'auspicio che, prima o poi, la mia posizione sia stabilizzata». «Sono arrivato in provincia di Como da Lecce, dove all'epoca non c'era nemmeno la possibilità del precariato, e da un paio d'anni lavoro a Ponte Lambro» spiega.
Con aspettative diverse: «All'inizio pensavo che dopo una gavetta di due o tre anni potessi essere assunto con contratto a tempo indeterminato. Purtroppo, però, non è andata così e adesso vado avanti, anno per anno».
Non vuole gettare la spugna: «No, anzi. Ecco perché guardo avanti con grande speranza, auspicando di non essere stabilizzato a 55 anni come accaduto in passato ad alcuni miei colleghi».
Fabio Delise, 40 anni, lavora alla Corbetta Fia di Carugo. Dopo mesi di cassa integrazione a rotazione è arrivata quella a zero ore, con un mensile da 660 euro a far tremare i polsi davanti ad affitto, bollette e costi fissi.
«Lavoro in questa azienda da 10 anni - racconta - e, purtroppo, dallo scorso ottobre sono in cassa a zero ore. Vivere con un assegno così contenuto è difficile bisogna limitarsi su tutto per riuscire a pagare le spese necessarie».
Dal Truciolo di Albavilla, Gerardo La Rosa racconta un'esperienza positiva basata su quella che lui stesso definisce una «collaborazione tra azienda e dipendenti»: «Anziché fare la guerra - commenta - è bene che imprenditori e lavoratori si parlino, con l'obiettivo di superare le difficoltà, che pur esistono, e di andare avanti, crescendo assieme».
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