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Giovedì 19 Febbraio 2009
De Sfroos a briglia sciolta
"Mi guardo e dico:
sono il solito pirla..."
Intervista al cantautore laghée pronto a festeggiarsi, dieci anni dopo, al Sociale. E qui potete vedere il video dell'intervista (la seconda parte)
- La prima volta temevano che arrivasse gente strana, magari con le galline al guinzaglio.
<In effetti qualcuno al Sociale di allora era preoccupato. Non ero conosciuto in città, avendo cominciato in Canton Ticino, e allora l’eco che si sentiva era: ecco, arriva quello del lago, dei contrabbandieri, zia Luisa, la curriera, la balera, che bel cù… Qualcuno si aspettava un’invasione come nel Far West, con i cow boys che sparano nell’aria e gridano: «Fuori le ballerine!» Invece fu una cosa toccante, una manifestazione d’affetto da parte del lago, che per una sera scese in città per vedersi celebrata su di un palco, per vedersi rappresentata da un cantautore che aveva deciso di parlare di loro. Era il periodo di rientro dopo lo scioglimento dei De Sfroos che aveva tanto fatto parlare.
- Li senti ancora i De Sfroos?
<Vedo qualche volta Marco, il postino. Gli altri no, li ho persi di vista quasi tutti.
- Chi è il Davide privato, che vive con la sua famiglia.
<Sicuramente non fa una vita da Red Hot Chili Peppers. Ahimè, qualche volta sarebbe anche bello vedere la piscinetta del residence dove abito frequentata anche da qualche musicista, qualche bella signora con i tatuaggi. Invece niente e non so se sia un bene o un male. Ascolto invece tanta musica, vedo film e poi ci sono i figli, che sono tre (1, 4 e 6 anni) e la maggior parte del tempo sto con loro. Da Natale ho però un rifugio, in frazione Bolzanigo, in un luogo suggestivo, dove mi isolo, per lavorare, per comporre.
- Abbiamo detto del carattere schivo. Non è che talvolta i tuoi fan ti mettono in imbarazzo.
<Sì, è capitato, per la grandezza delle emozioni che t’arrivano addosso. Fa piacere essere riconosciuto al supermercato, all’autogrill. Ci sono persone che ti raccontano la loro vita, storie pungenti, anche traumatiche, che grazie a una tua canzone sono riuscite a superare una perdita importante. In quei momenti, non si ha un corredo psicologico tale da dare una risposta sensata. Ascolti, rimani con la faccia un po’ da lavarello e te ne esci con cose banali. È un alone da Padre Pio che mi fa paura, ma nel contempo c’è il miracolo, cioè ti rendi conto che qualcosa sta accadendo anche a te. Magari sei stanco, sei stufo, non trovi un senso alla tua vita e arriva qualcuno a ribaltare la frittata e a farti capire che invece un senso c’è, anche per chi scrive canzoni.
- Davide, hai quaranta tre anni, un’età in cui si può stilare un bilancio. Il ragazzo che eri alle superiori c’è ancora e si rivede nell’uomo che sei diventato?
<In tutta franchezza, c’è un lato di me che è riuscito a diventare molto professionale, ad attraversare strade (io, che fino a poco tempo fa neanche avevo la patente) attraverso territori, anche migliaia di chilometri in pochi giorni, vado sul palco, faccio quello che devo fare, cerco di essere disponibile con i media, con i musicisti, con i colleghi. Ho scoperto una parte di me che è riuscita a diventare adulta in questo mondo. In ciò mi vedo in un modo che da ragazzino neanche se mi avessero disegnato col computer ci avrei creduto. Dall’altra parte però, io sono sempre stato un joker, una scheggia impazzita, un alieno, pur non essendo un compagnone a tutti i costi. Semmai ho sempre preferito stare bene con gli altri con un’ironia forte, magari con lati lunatici e soprattutto una sindrome da Peter Pan, una coglionaggine che ancor oggi fa capolino e quando accade mi dico: guarda qui il giornale che parla di te, alla televisione parlano di te, ti hanno intervistato e hai dato di te un’immagine credibile, però dentro mi conosco e penso: sei sempre il solito pirla!
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