Lingotti in cambio di franchi
Quando l’oro torna a Chiasso

Il traffico di metallo prezioso causa un danno da milioni di euro

C’è chi la crisi la teme, perché rischia di perdere il lavoro. E chi, per affrontarla, mette mano alle sue riserve (in nero) di lingotti d’oro. La maxi inchiesta del nucleo di polizia tributaria di Como, che ha portato al sequestro di ben 130 chili di metallo prezioso in appena due mesi, ha anche alzato il velo sulle nuove rotte dei contrabbandieri. Non più (solo) dalla Svizzera all’Italia per evadere l’iva, ma controcorrente: di rientro in Ticino per far fronte alle crisi di liquidità.
I finanzieri che, coordinati dal pm Mariano Fadda, hanno messo a segno cinque sequestri di lingotti - uno solo proveniente dal Canton Ticino - non si sbilanciano sui moventi di un fiume dorato che ogni anno causa milioni di euro di danni all’erario, ma la spiegazione più plausibile di questo ritorno alle origini sembra essere quello di voler monetizzare i "risparmi" in nero di facoltosi italiani. Da questo lato della frontiera, infatti, sarebbe impossibile riuscire a cambiare i lingotti con gli euro senza incappare in rigidissimi controlli antiriciclaggio. Diversa la situazione in Svizzera dove l’oro può essere venduto, volendo, anche in banca.
È proprio nei momenti di difficoltà che il metallo prezioso, il cui valore è triplicato negli ultimi dieci anni, viene trasformato in denaro liquido. Non stupisce gli inquirenti comaschi, dunque, il flusso controcorrente scoperto negli ultimi mesi.
Decisamente meno misterioso è il viaggio dei lingotti dalla Confederazione elvetica all’Italia. L’ultimo, in ordine di tempo, ha riguardato due appianesi fermati a Genova con un carico di quindici chili in lingotti griffati Valcambi, una delle tre raffinerie di metallo prezioso del Canton Ticino, particolare che dimostra inequivocabilmente la provenienza dell’oro. Duplice il vantaggio - illegale - di cui gli acquirenti possono godere con l’acquisto in nero di lingotti provenienti della Svizzera: il risparmio sull’iva (pari, su 15 chili, a 50mila euro) e, visto che stando all’ipotesi investigativa i destinatari finali sembra fossero orafi, l’ulteriore guadagno sul mancato pagamento delle tasse relativi agli introiti garantiti dalla vendita dei gioielli ricavati dai lingotti (pari a circa 100mila euro).
Il "tesoretto" scoperto dalle fiamme gialle potrebbe non fermarsi a quota 130 chili in sei mesi (ben 200 in due anni). L’indagine infatti prosegue, pur se nel massimo riserbo. In realtà un primo filone, quello dei 70 chili sequestrati tra il 2006 e il 2007, sembra destinato a essere chiuso a breve, ma sull’altro l’attività investigativa prosegue, con la collaborazione delle autorità elvetiche. Da quanto emerso, infatti, il servizio antifrodi delle dogane svizzere ha sempre risposto presente quando gli inquirenti italiani hanno chiesto un aiuto. Tanto che alcuni sequestri sono stati compiuti proprio grazie ai riscontri forniti in tempo reale, alle fiamme gialle, dalle autorità elvetiche.

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